«L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare». Scomodiamo un monumento nazionale come Gino Bartali per certificare l’ennesimo passo indietro – auspicato da Lega e Forza Italia – sulla norma dedicata agli affitti brevi, vera vexata quaestio della Manovra, che ha provocato un fastidioso mal di pancia nella maggioranza.
Et voilà: nessun aumento della cedolare secca dal 21% al 26% per chi affitta la prima casa mediante agenzia o i portali online, tassazione al 21% solo per i primi due appartamenti in locazione breve e obbligo di partita Iva a partire dal terzo immobile. Così, dopo una lunga trattativa con il Mef è stato riformulato l’emendamento alla Finanziaria depositato dal governo in commissione Bilancio al Senato. Punto o punto e a capo? Staremo a vedere, ma di tempo ne resta poco ormai.
Il countdown è cominciato da un pezzo e la sabbia nella clessidra scorre velocemente. L’iter per la Manovra in commissione a Palazzo Madama è in ritardo rispetto alla tabella di marcia iniziale, che prevedeva l’arrivo in Aula del testo il 15 dicembre. Le votazioni non partiranno prima di lunedì.
L’auspicio del governo? Chiudere entro Natale. Poi baci, abbracci e panettone. E buon emendamento a tutti.
TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO
Breve ripasso delle puntate precedenti: la norma attualmente in vigore consente una cedolare al 21% sul primo appartamento e del 26% dal secondo al quarto. Dal quinto la mutazione, si parla di attività imprenditoriale.
Il provvedimento – come recita la relazione tecnica allegata all’emendamento – “limita la possibilità di applicare la cedolare secca al 21% solo in caso di locazione breve, cioè fino a 30 giorni, di non più di due appartamenti. Per un numero di appartamenti superiore a due l’attività di locazione, da chiunque esercitata, l’attività si presume svolta in forma imprenditoriale”.
A cascata dovrebbe esserci un effetto finanziario positivo per 37,8 milioni nel 2026, che diventa negativo per 127,2 milioni nel 2027 e per 99,9 milioni nel 2028.
LE REAZIONI
Disco verde per l’emendamento da Federalberghi, che in una nota sottolinea. “Va nella direzione giusta la decisione di ridurre a due case affittate quelle oltre le quali l’attività si presume svolta in maniera imprenditoriale.
“Stesso mercato, stesse regole – prosegue l’associazione – Questo è il mantra che non ci stancheremo mai di ripetere: c’è posto per tutti coloro che vogliono competere lealmente“.
Convince meno il passo indietro sull’aliquota applicabile sulla prima casa.
“A nostro avviso – si legge – sarebbe giusto che chi affitta case facendo pagare centinaia di euro per notte paghi almeno il 23%, l’aliquota applicata a chi prende una pensione minima da 616 euro al mese. Per non parlare del fatto che la cedolare secca è un regime opzionale: se un contribuente ritiene che il 26% sia una misura eccessiva, ha facoltà di esercitare l’opzione inversa e pagare le tasse come i comuni mortali”.

