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Allarme Italia per il Wttc:
il turismo perde 100 milioni al giorno

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Una corposa manovra finanziaria del governo, circa il Pil del Trentino Alto Adige e poco più dell’intero fatturato annuo di Poste italiane: 36 miliardi di euro. A tanto ammonta la cifra che l’industria del turismo italiano perderà nel corso di quest’anno a causa della pandemia da coronavirus, secondo i dati del Wttc (World Travel and Tourism Council).

Un montagna di soldi che sembra già neutralizzare gli aiuti stanziati dall’esecutivo Conte e dalle Regioni nelle ultime settimane. E non c’è bonus vacanze che tenga, né campagne di promozione o accordi bilaterali con i Paesi europei: prima ancora che arrivi il temibile autunno, i primi dati di fine agosto presentano già un conto drammatico.

Una perdita “catastrophic” ha difatti riportato nero su bianco il Wttc, senza timore di essere frainteso, che vede l’intera industria del turismo italiana perdere 100 milioni di euro al giorno e registra un -82% di spesa dei turisti internazionali rispetto allo scorso anno. Ma le cattive notizie non finiscono qui: l’organizzazione internazionale, infatti, ha elaborato più scenari e, nel caso peggiore, l’Italia vedrebbe sacrificati circa 2,8 milioni di posti di lavoro legati al turismo: l’intera popolazione di Marche e Abruzzo per fare un paragone.

Non va meglio nel resto d’Europa, comunque: sempre il Wttc ha stimato una perdita nel settore travel & tourism di 38 miliardi di euro in Germania, di ben 48 miliardi in Francia e di 22 miliardi di sterline nel Regno Unito.

Per il presidente e ceo del Council, Gloria Guevara, è arrivato quindi il momento di fare appello ai governi, europei e mondiali con l’obiettivo di riaprire le frontiere al mercato internazionale. «In Italia, nello specifico, c’è il rischio che Milano perda la sua posizione di rilievo come capitale internazionale della finanza e che Roma non sia più una delle maggiori destinazioni leisure al mondo – ha detto il presidente – Bisogna ristabilire le rotte transatlantiche perché ridaranno fiato non solo alle compagnie aere, ma anche agli hotel, i tour operator, le agenzie di viaggi. Dobbiamo cancellare le misure di quarantena sostituendole con misure di prevenzione, test e tracciamento che siano rapide, complete e sostenibili economicamente e distribuite su tutti i punti di accesso del Paese».

In fin dei conti, quindi, il punto resta ancora quello evidenziato dall’Oms nei primi mesi della pandemia – usare le tre T (trace, test and treat) – che vanno applicate anche per rimettere in ordine l’industria dei viaggi, riportare la fiducia nei turisti permettendo una lenta ma graduale ripresa del settore. «Sarà molto più alto il prezzo da pagare di una crisi socio-economico a lungo termine invece degli investimenti per introdurre misure di sicurezza e prevenzione che permettano di viaggiare», ricorda Gloria Guevara.

Se sembra ormai certo, purtroppo, che le nostre vite e abitudini dovranno ancora convivere vari mesi con il virus che provoca il Covid-19, la sforzo ad oggi (in Italia) dovrebbe essere quindi quello di far ripartire il turismo puntando sui tamponi e test pre, post-imbarco e a destinazione elaborando processi e strategie per gestire eventuali contagi e focolai. Servono fino a un certo punto, ormai, i bollini Covid free, le super-sanificazioni e i certificati di pseudo-immunità.

Meglio prendere esempio dalla ripartenza delle compagnie di crociere o dalle postazioni installate nei maggiori aeroporti e porti italiani (nonostante evidenti criticità). Dal punto di vista politico, infine, dopo sei mesi di scontri, incertezze, conflitti di responsabilità e competenze tra Stato e Regioni, sarebbe anche ora di mettere la parola fine per remare tutti dalla stessa parte con una unica azione a livello nazionale, soprattutto a livello di protocolli, regole e misure.

Se, infine, c’è ancora spazio per promuovere l’Italia nel mondo (Enit cercasi…) dopo la devastazione sanitaria e mediatica che ha colpito il nostro Paese tra febbraio e aprile scorsi, non sarà né una guerra dei prezzi né una battaglia tra destinazioni sicure e meno sicure, tra mini brand di area e consorzi a risollevare il turismo italiano. Il caso Lombardia prima e Sardegna poi, oltre all’insolita stagione del mare Italia che sta per concludersi, lo stanno dimostrando. Non si tratta solo di garantire sia salute sia lavoro a un intero settore che conta il 13% del Pil italiano, né di “aprire tutto a tutti i costi”, ma di adattare, non solo un’industria, ma anche un intero Paese a una nuova normalità.

Perché se l’ormai lontanissimo overtourism che attanagliava le nostre città negli ultimi anni ha fatto moltissimi danni, lo spettro dell’undertourism ne farà molti di più.

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