VOICE OF LEADER – L’appuntamento con il Ttg Travel Experience, a Rimini, è la scadenza ideale per tirare le somme e raccontare l’anno che è stato. Cominciamo col dire che anche il 2025, così come i due esercizi precedenti, è stato un anno positivo per il turismo. Il dopo pandemia sembra aver ampiamente indennizzato il comparto per gli schiaffi inflitti durante quel terribile e insensato periodo (mai dimenticare le azioni sul travel dell’allora ministro della Salute, Roberto Speranza). Il turismo organizzato ha messo a segno una crescita che a fine anno si posizionerà tra il 6 e il 7% sul già ottimo 2024; quindi ampia soddisfazione e nessun muso lungo.
CHI SALE (E CHI NO)
Certo ci sono state luci e ombre, come di solito avviene in ogni partita, seppur vinta. L’Egitto si è ripreso il podio più alto sotto i riflettori e, dopo un ottimo inverno, ha completato la sua traiettoria con una notevole estate. Il 7 ottobre 2023 sembra ormai alle spalle; purtroppo solo dal punto di vista turistico, perché dal punto di vista bellico continua a infliggere severe e ingiuste punizioni alle popolazioni di Gaza, ma questo è un altro discorso.
Il Mediterraneo ha espresso qualche interrogativo; alcune destinazioni che avevano alzato i prezzi in maniera sconsiderata, cito Mykonos sopra tutti, hanno fatto registrare dei cali sul 2024 e forse è giusto così. L’Italia invece è stata di difficile decifrazione; mi sento di dire che ha sostanzialmente tenuto ma abbiamo sentito le lamentele dei balneari in agosto e certamente, anche per il caro dollaro (visto al contrario), sono arrivati meno americani nel Paese.
PECCATO PER GLI USA
A proposito di dollaro e di Stati Uniti, la meta più forte e solida del tailor made italiano ha fatto registrare i primi segnali di flessione e qui devo chiedere venia perché, quando è iniziata la polemica sull’effetto Trump anche sul turismo, avevo sostenuto che gli italiani fossero meno ideologici (ad esempio dei canadesi che hanno smesso di andarci negli Stati Uniti) e che avrebbero valutato positivamente gli Usa in virtù di un cambio dollaro molto favorevole. Così invece non è stato e molti connazionali hanno semplicemente preferito scegliere un‘altra meta; quindi, sì, un effetto Trump c’è stato. E così il super presidente è riuscito ad avere influenza anche sui flussi turistici, questa volta a discapito del suo Paese. È come se si fosse inflitto un “auto-dazio”. Ma, come si dice, contento lui…
Bene è andato l’East Africa dove il tema dell’overtourism non si fa proprio sentire; chissà cosa penseranno le zebre e i leoni del N’goro N’goro nel vedere 30 jeep in fila per far loro una foto.
LOW COST E COSÌ SIA
Un po’ meno polemica l’abbiamo sentita sulle low cost e per fortuna, dico io. Abbiamo consegnato alcuni dei nostri aeroporti in mano a questi vettori, abbiamo lasciato mettere voli ovunque e poi ci lamentiamo se hanno una posizione un pochino dominante? In ogni caso creano flussi turistici, quindi, ben vengano a parer mio. Poi va da sé che organizzazioni strutturate come i tour operator abbiano bisogno di altri tipi di partner per pianificare le proprie programmazioni, ma non ho mai capito chi abbaia alla luna e quindi non l’ho mai fatto.
ACCANIMENTO UE
Questa è stata anche l’estate della direttiva europea sui pacchetti turistici e qui rischio di perdere il mio consueto aplomb.
Non posso non vedere un accanimento verso il comparto perché, non solo gli organizzatori turistici già dovevano garantire maggiori tutele ai consumatori rispetto agli altri player che offrono servizi singoli (vettori, alberghi, Ota e via dicendo), ma il gap è stato persino dilatato, entrando nella gestione della cassa (limiti sugli acconti, per fortuna poi eliminati), nella delivery del servizio (tempi di risposta a un reclamo) e – come se non bastasse – con estremo sadismo si è anche optato per sanzioni pari al 4% del fatturato (in un comparto che mediamente realizza Ebitda del 5), stabilendo altresì diritti del consumatore di cancellare senza penale per ragioni quanto mai sindacabili.
Ma più di tutto l’accanimento l’ho visto sulla “congruità dei fondi per insolvenza e fallimento”. Non solo le organizzazioni che realizzano pacchetti sono obbligate ad averli, a differenza di tutti gli altri player turistici su citati, ma devono anche essere congrui con la somma dei volumi del mese di picco. Facciamo un semplice esempio. Per l’associazione che presiedo, Astoi, significherebbe avere un fondo di garanzia di circa 1 miliardo di euro l’anno. Peccato che quando i fondi erano statali – e parliamo di 10 anni fa, non del mesozoico – la capienza era di poche centinaia di migliaia di euro e valeva per tutti.
NON SANNO QUELLO CHE FANNO
Quasi preferirei pensare che la lobby dei consumatori abbia avuto la meglio piuttosto che credere che ci sia stata un’incapacità totale dei parlamentari europei; ma purtroppo propendo per la seconda perché semplicemente non conoscono il settore, non conoscono le problematiche; in sintesi non sanno quello che fanno. E siccome non sono tanto bravo a “perdonare chi non sa quello che fa” il mio auspicio è che ci rimettano la testa e promuovano normative più adeguate al settore che vogliono regolamentare.
Ci sarà tempo per battagliare e mi aspetto un autunno caldo su questo tema; nel frattempo portiamoci a casa un altro buon anno, alla salute di chi ci dava per morti.

