Dina Ravera, sogno incoming:
«L’Italia al tavolo dei grandi»

by Fabrizio Condò | 17 Marzo 2023 7:00

Le donne salveranno il mondo, si dice. Le donne salveranno il turismo, si è messa in testa Dina Ravera. Cinquantasei anni, cuneese, dal 2019 in Destination Italia e azionista di riferimento dell’ambiziosa travel tech, oggi quotata in Borsa. Sorriso ed entusiasmo grandi così, insegue una svolta storica: far diventare l’Italia l’ombelico del mondo e del turismo. D’altronde di storia se ne intende; dal 2020 è presidente del comitato d’indirizzo del Pio Albergo Trivulzio, crocevia tra Prima e Seconda Repubblica. Ex manager di Wind 3, va dritta per la sua strada. In tasca un diploma da ragioniera, da giovane segue alla lettera il consiglio di Marisa Bellisario: cuneese come lei, la manager di Olivetti e Fiat la incoraggia a studiare. Dina Ravera non si ferma più. E ora barra dritta verso un incoming da rimodellare: «Per me è semplice, il turismo è il petrolio dell’Italia. Le bellezze che abbiamo noi non le ha nessuno. Eppure gli stranieri lamentano scarsa organizzazione, frammentarietà e poca qualità».

Serve un cambio di passo.
«In Italia c’è un’eccessiva parcellizzazione e manca un grande operatore dell’incoming, anche con partecipazione pubblica, in grado di sprintare in una gara tra l’Italia e gli altri Paesi competitor, che in questo momento stanno facendo molto meglio di noi. Operatore che dovrebbe portare avanti attività sul territorio per aiutare le località a gestire al meglio i turisti stranieri. E questo non è un aspetto banale».

E se il tallone d’Achille fosse la partecipazione statale?
«Può darsi. Io garantisco che proverò a crearlo quel grande operatore incoming, con il sostegno di BancaIntesa, e il progetto di fusione per incorporazione tra Destination Italia e Portale Sardegna va in questa direzione. Una cosa però dev’essere chiara: per quanto si possa essere bravi, non si può costruire un apparato così enorme su scala nazionale, capace di interagire con tutti i Paesi del mondo, se non si sintonizza con lo Stato o non ha un grande partner accanto che vuole valorizzare il territorio italiano. Se lo Stato sposasse il mio progetto, sarebbe più giusto per il Paese».

Sogna una rivoluzione…
«A me pare sia obbligatorio farla. Chiariamo: io sono contenta che la manifattura sia il primo settore del Paese, ma si fatica a essere competitivi quando ci sono realtà con un regime fiscale diverso. Il turismo invece è unico, ce l’abbiamo, quindi è un dovere per chi ci governa rendersi conto che il Pil generato dal comparto, 13%, può arrivare al 20. Non ci siamo ancora arrivati perché ad oggi ci sono solo iniziative separate, ognuno si promuove per conto suo e questo depotenzia le destinazioni. In confronto a come si muovono, ad esempio, Francia, Spagna, Portogallo e Svizzera, non c’è paragone. La nostra realtà, da sempre, sono gli 8.000 campanili e questo pesa».

Soluzioni, quindi?
«La cultura di un Paese non muta in un giorno, ma serve un cambio radicale. Io mi sono messa in gioco lasciando le tlc, oggi voglio creare un t.o. capace di portare l’Italia nel mondo sedendo al tavolo dei grandi. Se poi altri imprenditori vogliono unirsi, ben vengano».

Non si è mai detta “Ma chi me l’ha fatto fare?”.
«Sono entrata nel 2019 nel turismo quasi per caso, perché BancaIntesa chiese di occuparmi di questa realtà in cui credeva molto. È arrivato il Covid e mi sono trovata a un bivio: lasciar andare l’azienda o comprarla per tenerla in vita. Non avevo mai fatto l’imprenditrice, ma il manager, eppure ho deciso di andare avanti, investendo in un settore che era a terra. E la Banca dei Territori ha avuto fiducia in me».

Avanti a ogni costo ora?
«Sono convinta che per dare un senso alla vita dobbiamo provare a lasciare il segno. Fin da bambina ho pensato che non andasse buttato via neppure un giorno per impegnarsi in qualcosa d’importante. Dopo l’incontro con la Bellisario, all’Università scelsi ingegneria elettronica, senza rendermi conto del salto da ragioneria a ingegneria, ma con la consapevolezza di puntare al massimo, nonostante le materie non mi piacessero: il 110 era un obbligo per poter poi scegliere quello che volevo fare. Quando decido di fare una cosa la porto avanti a ogni costo e con il sorriso».

Se fra un anno l’obiettivo non è raggiunto, Dina Ravera fa un passo indietro?
«Farò il possibile e sono certa di farcela. Ma non giudicherò mai in modo negativo l’iter ed è questo il messaggio che consegno ai miei collaboratori. Non voglio trasferire agli altri il senso della paura e del rischio: puntare al grandissimo risultato non deve creare ansia, ma rimanere un divertimento, sapendo che se insegui un obiettivo vicino all’impossibile, la probabilità di riuscirci non è scontata».

Come si coniugano i numeri con passioni ed emozioni?
«Sono una persona di emozioni, mi piace stare bene con gli altri e lavoro per provare a farli stare bene: è la molla che mi muove. I numeri sono uno strumento per arrivare alla meta, che per me è portare in Italia turisti capaci di apprezzare le nostre bellezze. Magari insegnando a farlo agli italiani, che danno per scontato troppe cose».

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