Ha due orologi ai polsi e nessuna sveglia. Non ne ha bisogno. La chiamata alle armi, ovvero al lavoro, arriva da sé intorno alle 5 del mattino. E non c’è collega che non sappia che, all’alba, da Stefano Maria Simei puoi aspettarti di tutto: un input, un feedback, la richiesta (perentoria sì, ma gentile) di un report senza il quale – poniamo il caso – un’intervista come questa non vedrebbe la luce. Intervista ai limiti dell’estorsione perché, se c’è un uomo che nel turismo prima fa e poi dice, questo è lui. Per rilasciarla, infatti, avrebbe atteso ascetico la golden hour: il varo del Piano industriale previsto per il primo quadrimestre 2026; tutt’al più il lancio della nuova linea “montagna”. Ma il giro di boa dei sei mesi da direttore generale di Futura Vacanze era (per noi) occasione ghiotta, così come il primo concreto obiettivo raggiunto: 100 milioni di fatturato già a luglio, pari ai ricavi totali del precedente esercizio. «Merito della squadra, non mio», replica specchiato. E sarà anche vero, ma lo è altrettanto il suo valore, indiscutibile boost di questa nuova era.
Sei mesi alla guida di Futura Vacanze. Come si è evoluta la società con il suo ingresso?
«Ho trovato un’azienda in crescita, un imprenditore (Stefano Brunetti, ndr) presente e sensibile, un capitale umano con forti valori personali, professionali e affezionato al brand che rappresenta, ma con l’esigenza di strutturarsi, viste le dimensioni raggiunte. Ho lavorato per rafforzare ciò che già funzionava introducendo più organizzazione, chiarezza nei ruoli, maggiore focus sugli obiettivi-chiave».
In concreto che novità ha introdotto?
«Allora, tra le prime azioni c’è stato il rebranding che racconta la ricerca di un posizionamento nuovo; Academy, punto focale sulla formazione interna; e l’inserimento di Comitati verticali sulle varie direttrici aziendali. Stiamo costruendo basi solide per una crescita strutturata e duratura. Al centro ci sono le persone, al loro fianco gli strumenti tecnologici più adatti».
Guidare da “esterno” un’impresa familiare non deve essere facile. Ci dica un pregio e un difetto di questo modello.
«Il pregio è una catena decisionale corta: si decide in fretta e si agisce. Il limite è che spesso le aziende familiari hanno una struttura organizzativa con flussi e processi meno chiari. Il mio compito è proprio portare metodo senza snaturare il Dna dell’azienda. Come disse Fabio Gallia, ex amministratore delegato di Cdp e Bnl-Bnp Paribas: “Mantenere l’anima dell’inizio senza aver paura di modernizzare e innovare”».
I tempi sono già maturi per fare un primo bilancio. Da uomo “di numeri” qual è, ci dice quelli per lei più significativi?
«Stiamo raggiungendo proprio in questi giorni i 100 milioni di fatturato, pari ai ricavi totali dello scorso anno, e stimiamo una chiusura di esercizio con una crescita tra il +10% e +15%. Il rallentamento dell’Egitto inciderà sia sul fatturato che sulla marginalità, ma i segnali restano comunque positivi».
Soddisfatto, quindi?
«Certo. Ma sono convinto che i risultati di oggi siano più che altro attribuibili al percorso avviato prima del mio arrivo. In questa fase mi sento di aver accompagnato le scelte valorizzando al meglio ciò che potevamo esprimere. Il vero impatto del nuovo assetto si vedrà nel medio termine. Il secondo e il terzo anno saranno decisivi».
Visti i risultati già raggiunti, pensa di rivedere al rialzo la previsione di 200 milioni di fatturato nel giro di cinque anni?
«Non credo. Correre dietro ai fatturati come unico scopo non è ciò che perseguo. Crescite rapide stressano le strutture interne e spesso disperdono margini».
In generale, per il travel, questo è un anno particolare. Difficile, oserei dire. Il Ferraprile ha “mangiato” parte dei budget già risicati delle famiglie. Come avete affrontato queste dinamiche per sollecitare la curva di prenotazioni?
«Sì, è un anno senza dubbio difficile, specialmente per il Mare Italia. Abbiamo reagito in modo rapido, con promozioni mirate e flessibilità commerciale. L’obiettivo è stato stimolare la domanda nei momenti più deboli, mantenendo alta la percezione di qualità e lavorando su un’offerta sempre dinamica e ben posizionata».
Il caro prezzi, almeno nel vostro caso, non sembra essere un tema. L’impressione è che siate riusciti a contenere le tariffe. È stato un grosso sacrificio?
«I costi sono aumentati per tutti, anche solo per l’assenza della decontribuzione sud che su di noi ha pesato parecchio. Siamo stati attenti a non scaricare tutto sul cliente, ma senza forzature. Abbiamo lavorato sull’efficienza interna. Qualche semplificazione dei processi e migliorie nella gestione operativa ci hanno permesso di assorbire parte degli aumenti».
Nonostante tutto, non si può non ricorrere al last minute. Una pratica commerciale come tante o il solito demone da sconfiggere?
«Il last minute esiste ed esisterà sempre. È una dinamica ormai strutturale, ma oggi è molto meno invasiva rispetto al pre Covid. Il punto non è combatterlo, ma gestirlo bene: tutelare chi prenota prima con offerte chiare e premianti. E usare il last minute solo dove serve, senza svendere».
Guardiamo ai prossimi sei mesi: quali ulteriori evoluzioni immagina per Futura?
«Stiamo lavorando su tre direttrici: prodotto, commerciale e tecnologia. Sul prodotto, vogliamo affinare l’erogazione del servizio e migliorare la segmentazione per parlare in modo più mirato ai diversi target. Sul fronte commerciale, il focus è sul rafforzare il rapporto con le agenzie, con strumenti e incentivi concreti. Versante tecnologia, stiamo introducendo sistemi più evoluti per rendere tutto più efficiente, rapido e integrato».
Futura è sinonimo di villaggi mare, ma nasce con la neve. Prevede un ritorno alle origini con un catalogo montagna?
«Sì, ci stiamo tornando. Entro poche settimane annunceremo nuove acquisizioni dirette in montagna – in Austria, Lombardia e Trentino Alto Adige – gestite tramite la nostra società di gestione che conta già 12 strutture in portafoglio. È un segmento che vogliamo rilanciare con decisione, valorizzando le nostre radici con servizi in linea con la domanda di oggi».
Spoiler del Piano industriale. Quando lo presenterete e in linea generale su quali pilastri poggerà?
«Avrei voluto chiuderlo prima, ma ci serve ancora del tempo. Lo presenteremo nel primo quadrimestre del 2026. I pilastri saranno: crescita controllata, focalizzandoci più sui margini che sul fatturato, rafforzamento del prodotto gestito direttamente, innovazione tecnologica e sviluppo commerciale strutturato».
Un ruolo cruciale nelle aziende – lo sappiamo – ce l’ha l’Ai. Si sente pronto a guidare la transizione tecnologica? Come immagina in tal senso il tour operator del futuro?
«Assolutamente sì. L’intelligenza artificiale non è il futuro, è il presente. Immagino un tour operator più snello, libero da attività manuali e processi inutili, focalizzato su marginalità e su un prodotto disegnato davvero sui nuovi bisogni del cliente. La tecnologia serve a questo: semplificare dentro per essere più efficaci fuori. A tal proposito un plauso ad Astoi per il percorso formativo su Ai e Ai generativa in partnership con Accenture. L’associazione continua a dimostrare grande capacità di visione, supportando con iniziative di valore i suoi associati».
A proposito di Astoi, lei ha un passato da consigliere. Pensa di tornare a occupare quella poltrona?
«L’esperienza nel Consiglio direttivo di Astoi è stata stimolante, appagante e formativa. Non spetta a me decidere un eventuale ritorno, ma se l’associazione ritenesse utile il mio contributo, sarei certamente disponibile».
Se il ministro del Turismo fosse il genio della lampada, quali desideri vorrebbe vedere esauditi per il turismo organizzato?
«Più che un solo genio, ne servirebbero almeno cinque. Tanti quanti i ministeri che dovrebbero lavorare insieme a un progetto condiviso: Turismo, Istruzione, Infrastrutture, Esteri e Tesoro. Il turismo è un sistema, e va trattato come tale. Cosa vorrei? Uno: un calendario scolastico meno concentrato nei mesi estivi, come avviene in altri Paesi europei. Due: un intervento concreto sul cuneo fiscale per rendere il lavoro nel turismo più attrattivo e competitivo in Europa. Tre: infrastrutture moderne e accessibili, soprattutto per attrarre clientela internazionale con alta capacità di spesa».
Ultima domanda, più personale. Come e dove si immagina tra dieci anni?
«Lasciando spazio ai sogni, su un campo da golf o in trasferta a godermi una vittoria della Lazio, la mia squadra. Ma in verità mi immagino ancora sul campo che più mi appartiene, il turismo, dando il mio contributo per far crescere un settore che, nel bene e nel male, sento cucito addosso. Ma forse dieci anni sono troppi. Facciamo cinque o sei, va. La vita va vissuta».

