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Roma come Berlino: benvenuti
al Museo dell’Altro e dell’Altrove

Metti un sabato mattina a Roma. Uno di quelli che c’è il sole sulla Prenestina, all’altezza di un civico che ormai è un simbolo: il numero 913. Sembra Berlino, ma non lo è. Siamo nella periferia est della Capitale, per l’esattezza negli spazi dell’ex stabilimento Fiorucci, oggi sede del MAAM, il Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz. Un iperluogo, dove l’arte convive con l’attivismo politico, e con la comunità multietnica che occupa gli edifici, in un raro esempio di architettura postindustriale.

Un villaggio meticcio, che è anche un museo visionario, dove esplodono sui muri, sui pavimenti, nei corridoi, sulle porte dei bagni, installazioni eclettiche e opere di street art firmate Nicola Alessandrini, Vincenzo Pennacchi, James Graham, Borondo e Kobra, per dirne alcuni.

C’è la stanza dei pregiudizi; La Cappella Porcina con i maiali dipinti sui muri dagli spagnoli Pablo Mesa Capella e Gonzalo Orquìn nell’ex scannatoio; c’è il murales dell’egiziano Ammar Abo Bakr che ritrae la militante Sana’a Seif, in carcere per aver protestato contro l’arresto del fratello Alaa Abdel Fattah. C’è il tema della luna – ricorrente in molte opere – che solo una volta raggiunta, ti dà il coraggio di tornare sulla terra per cambiarla.

Il sabato sono previste visite gratuite. L’ingresso è su offerta libera. (R.R.-A.C.)

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