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Google chiama le Pmi del travel:
«Venite a prendervi i big data»

«I dati sono come i bisonti per i nativi americani: non si butta via nulla». E sono lì, a disposizione di tutti, «senza avvenierismi dalle tinte vagamente orwelliane». Come a dire: Venghino, signori venghino, la casa dei big data è aperta a tutti, basta trovare la strada per entrare, che anche nel caso delle piccole e medie e imprese è a distanza di un clic. È il messaggio lanciato alla Bto di Firenze da Fabio Vaccarono, amministratore delegato di Google Italy, che cita strumenti come Google Trends – «ancora sottoutilizzato, ahimé» – per capire, segmentare, intercettare i clienti.

Bocconiano, classe 1971, con un passato alla guida di Manzoni Advertising e Rcs Pubblicità tra gli altri, il signor G d’Italia si dice uomo di provincia: «Quella nobile di Ivrea, cantata da Carducci». E il suo speech è un’ode barbara al futuro. «Tra tre anni – profetizza – saranno in rete 6 miliardi di persone con una media di sei o sette device a testa. A quel punto calcoleremo la penetrazione ponderata di internet: ovvero quante ore si passano offline. E se si considera che in Italia oggi è sviluppato solo il 12% di digital potential, andremo a prenderci presto tutto il resto».

Come in una puntata di Black Mirror, la serie Netflix sui progressi della tecnologia, sul maxischermo appare l’immagine di un africano in abiti tribali con in mano una smartphone. «Ci aspettiamo un miliardo di nuovi utenti in Africa», dice Vaccarono che per tracciare uno scenario cita la legge di Varian: «Per prevedere il futuro bisogna guardare a quello che in pochi già hanno e immaginare che sarà in possesso della classe media entro 10 anni e di tutto il mondo nell’arco di 20».

Quale sarà, in questo scenario, il futuro del marketing? Il country manager di Google lo riassume in tre cardini: automatico, data driven e full channel. «Quando uno stimolo ha bucato il velo di Maya del consumatore, poi bisogna accompagnarlo fino all’acquisto, presidiando ogni canale e utilizzando tutti i dati e gli strumenti a disposizione», afferma.

Ma la strada da percorrere in Italia è ancora lunga: «Nell’era Marco Polo 4.0 solo il 10% delle nostre imprese vende beni e servizi online. Eppure il cliente è pronto, non è vero che è impreparato. Gli italiani negli ultimi 5 anni hanno processato il doppio delle informazioni degli ultimi 100 anni. E il numero numero di fonti di informazione è triplicato, passando da sei a diciotto». È un consumatore sofisticato e severo. E lo dimostra il fatto che le perdite che derivano dal sell out si aggirino intorno al 20%: chi non è convinto del processo di acquisto lo interrompe senza scrupoli.

A questo punto Vaccarono anticipa i risultati di uno studio, ancora top secret: «Se colmassimo il gap della presenza online l’Italia guadagnerebbe un punto di Pil e 250mila posizioni lavorative in più nel settore del turismo e delle attrazioni culturali». Stime che danno ragione a Paolo Pepper, il robot-concierge che 24 ore prima, dallo stesso palco, aveva dichiarato: «Noi umanoidi non ruberemo posti di lavoro. A patto che le aziende investano in tecnologia e formazione».

E a chi accusa Google di provocare una riduzione dei movimenti turistici con i suoi Grand Tour virtuali, il country manager risponde: «Sappiamo per certo che chi ha potenziato i digital asset, ha migliorato i numeri fisici. Questo è il momento di riprenderci il nostro spazio. Perché ogni giorno in Cile, in Indonesia, in Vietnam, una persona si sveglia e vuole vedere l’Italia».

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