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La lettera dell’avvocato Criscione: “Norme fiscali e riforme per il turismo”

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Riceviamo e pubblichiamo integralmente la lettera che l’avvocato Carmine Criscione, esperto di turismo, ha inviato come monito al comparto.

La normativa emergenziale si è adeguata all’evento straordinario virale e ha preso in prestito dalla malattia una terminologia che ha coniato la figura del cittadino-paziente: prima il decreto cura Italia e poi quello Rilancio hanno avuto l’obiettivo di caratterizzare le fasi della terapia e della riabilitazione. Nel settore del turismo, tutt’altro che asintomatico e confinato dal 23 febbraio scorso in terapia intensiva, voucher, fondi e bonus sono strumenti che hanno acceso dibattiti, ma non hanno risolto il problema del quasi annullamento della domanda di acquisto dei servizi turistici.

 

Il voucher, unica misura originale ed efficace per dare una momentanea boccata di ossigeno a un mercato in ginocchio, ha subito attacchi dalla Commissione Ue, dall’Agcm e dalle associazioni dei consumatori senza che nessuno di questi soggetti prendesse in alcuna considerazione che quello della solidarietà sociale è un principio costituzionale sancito nel 1948 e totalmente snobbato da quello europeo del 2020. L’intervento legislativo – non solo del legislatore domestico ma anche di quello comunitario – nel settore turismo è del tutto privo di programmazione e – spiace dirlo – di un’approfondita conoscenza del settore che è ancora anacronisticamente considerato come ancillare rispetto alla cultura e il suo mercato è riconosciuto più per la circolazione di persone che per la professionale organizzazione e distribuzione di servizi.

 

La mancanza di misure di sostegno e di una domanda da parte dei viaggiatori, colpiti duramente nella loro capacità di spesa, limitati nella circolazione e resi insicuri dall’incertezza di norme in continua evoluzione e spesso poco chiare (soprattutto quelle relative alla sicurezza e alla circolazione diventate di competenza esclusiva di mutevoli dpcm), sta affossando gli operatori del settore. Ormai i sassolini premonitori sono finiti e la frana è già iniziata. Il regime della responsabilità di organizzatori e venditori oggi è troppo gravoso, vengono richieste, a differenza di operatori di altri settori, due polizze obbligatorie che gravano sui bilanci delle aziende e il contratto di pacchetto ha tutele sparse di ogni tipo in favore del viaggiatore. L’art. 41 comma 4 del Codice del Turismo e l’art. 12 della direttiva Ue Pacchetti sono la consacrazione di un rischio di impresa che va oltre la forza maggiore e, in caso di risoluzione del contratto per Covid-19 obbliga a un rimborso che tutela solo il viaggiatore, considerato, in questo straordinario momento storico, ancora come “contraente debole” del rapporto.

 

Il voucher ha, per qualche settimana, messo una toppa a questa enorme e pericolosa falla, ma poi il cartellino rosso di Bruxelles ha di nuovo rotto definitivamente gli argini, senza peraltro offrire alcun paracadute. I legislatori sembrano non capire che ormai the time is over e che se crolla definitivamente il turismo non va in default solo il 13% circa del Pil nazionale, ma molto di più e non solo a livello economico. Il prodotto turistico ha un indotto trasversale e sconfinato più di quello necessario per assemblare un autoveicolo e quello del turismo è un settore che strutturalmente è incompatibile con l’immobilismo delle casse integrazioni, perché ha bisogno fisiologicamente di stare in movimento per far circolare servizi e persone.

 

È stata fatta la “Cura” ed è stato pensato il “Rilancio”, ma che senso ha fare la terapia e la riabilitazione se non si ha una buona diagnosi? Se si vuole efficacemente contrastare l’emergenza, l’unico rimedio è quello di pensare alla normalità con il ricorso, prima che sia troppo tardi, a riforme strutturali nel settore turismo a partire da un’onesta e seria riflessione in merito alla riserva dell’art. 117 commi 2 e 3 della Costituzione del potere legislativo in materia turistica delle Regioni (troppo assorbite dalla Sanità e dalla Scuola) che di fatto lo esercitano, quasi svogliatamente, per rare e confuse leggi; creare un autonomo ministero del Turismo e istituzionalizzare il dialogo fra i politici e le rappresentanze imprenditoriali e dei consumatori.

 

Si dovrebbe partire da norme fiscali ad hoc in quanto l’ultimo intervento è anteriore alla riforma del 2018 che ha introdotto una nuova tipologia contrattuale (l’agevolazione) sprovvista di un regime fiscale specifico; assicurare una garanzia definitiva della medesima protezione in caso di insolvenza e fallimento approntata per i pacchetti e i servizi turistici collegati non solo al singolo biglietto aereo (come richiesto dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 22 ottobre 2019) ma a ogni altro singolo servizio turistico; si dovrebbe prendere in seria considerazione, per la peculiarità che ormai sta caratterizzando la normativa turistica, la previsione di sezioni giudiziarie specializzate, istituzionalizzando una competenza specifica per la materia turismo, facendola, magari, precedere da un tentativo obbligatorio di mediazione o di negoziazione assistita per creare un filtro preventivo al contenzioso purtroppo sempre più prolifico. Non è più il tempo dell’urgente toppa della nonnina, ma c’è bisogno di un fine lavoro sartoriale: il rischio, ormai concreto, è che i t.o. nazionali finiscano in mani straniere e le agenzie di viaggi abbassino lentamente le serrande.

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