La paralisi della Cina,
dove il turismo resta tabù

by Roberta Moncada | 10 Novembre 2021 11:06

Halloween, un parco divertimenti nella periferia di Shanghai e più di 33.000 persone rinchiuse al suo interno fino a notte fonda, per effettuare test di massa volti al rilevamento del Covid-19. Non è la trama dell’ultima serie distopica di Netflix, ma quello che è successo ai malcapitati avventori di Disneyland Shanghai, dopo che un solo residente della provincia di Jiangxi, nella Cina orientale, risultato positivo al test per il coronavirus, ha riferito di aver visitato il parco divertimenti il giorno prima. Le autorità sanitarie hanno quindi immediatamente disposto la chiusura del parco (che ha riaperto solamente 3 giorni dopo) ed effettuato test a tutti coloro che si trovavano al suo interno. L’esito ha confermato che nessuno dei presenti era stato contagiato dal virus, ma ai visitatori, poi trasportati a casa a bordo di 220 autobus, è stato chiesto l’autoisolamento per altri due giorni in attesa dell’esito del tampone molecolare.

Quello di Disneyland Shanghai è solamente uno dei molti esempi delle misure draconiane che la Cina continua ad adottare, in nome della strategia di “tolleranza zero” nei confronti del virus.

Chi credeva, in vista delle Olimpiadi invernali di Pechino, e dato l’aumento dei tassi di vaccinazione nel Paese, che Pechino avrebbe ammorbidito tale approccio, magari addirittura aprendo gradualmente i confini con l’estero, dovrà quindi ricredersi, almeno per il momento.

Il recente aumento dei contagi in diverse province ha infatti addirittura inasprito le misure di contenimento del virus, limitando gli spostamenti anche all’interno del Paese. Da ottobre di quest’anno la Cina ha visto diversi focolai locali, che hanno coinvolto 11 province e facendo registrare circa 500 casi meno di un mese. Numeri che in Cina bastano già ad allarmare le autorità, che non esitano a chiudere intere zone o città in attesa dei risultati dei test su migliaia di cittadini.

Il 23 ottobre il ministero della Cultura e del Turismo ha emesso un avviso di emergenza, richiedendo alle agenzie di viaggi e alle Ota di sospendere con effetto immediato tutti i tour di gruppo interprovinciali, nonché i biglietti aerei e i servizi di pacchetti alberghieri nelle regioni interessate.

In molte città – inclusa Pechino – i luoghi di svago al coperto come internet café, sale da gioco e cinema sono stati chiusi e una serie di eventi come maratone, concerti e spettacoli teatrali ritardati o cancellati. La provincia del Gansu, nel nord-ovest della Cina, dopo aver registrato soli 40 casi ha sospeso tutte le attività turistiche, chiuso tutti i punti panoramici, i luoghi di divertimento, le attrazioni e vietato ogni tipo di spettacoli, mostre e attività. Misure simili prese dalla municipalità di Chongqing, nel sud-ovest della Cina, tra le destinazioni più popolari per il turismo interno, ma anche a Dongguan, e in diverse città della provincia di Heilongjiang. Infine, è di poche ore fa la notizia che la maratona di Shanghai, prevista per il 28 novembre, è stata rinviata a data da destinarsi, così come quelle di Pechino e Wuhan il mese scorso.

Ma quanto potrà durare questa politica di contenimento del virus? Secondo Zhong Nanshan, esperto di malattie respiratorie che ha contribuito a formulare la strategia anti Covid della Cina all’inizio del 2020, «quanto durerà dipende dalla situazione di controllo del virus in tutto il mondo». La scorsa settimana la National Immigration Administration ha dichiarato che continuerà a consigliare ai cittadini di non andare all’estero per motivi non urgenti e non essenziali.

E se in linea generale la popolazione cinese ha sempre, sin dall’inizio della pandemia, accettato di buon grado e, anzi, difeso le misure di contenimento del virus, leggendole spesso come tutela nei confronti della popolazione, adesso cominciano a registrarsi le prime insofferenze.

Come sottolinea Simone Pieranni su Il Manifesto, «nonostante la strenua difesa della policy cinese anche da parte degli esperti e di alcuni media più nazionalistici, i segnali di poco gradimento per le scelte della dirigenza cominciano a trovare spazio sui quotidiani e sui social».

E questo è ancora più vero nel settore del turismo, tra i primi a subire le conseguenze delle restrizioni.

Persino il Global Times, quotidiano online in lingua inglese considerato il “megafono” del Partito Comunista Cinese, scrive che «l’industria del turismo cinese nel terzo trimestre ha subito il colpo più duro dal 2020, a causa delle rigorose misure di prevenzione e controllo dell’epidemia a seguito dei recenti focolai di Covid-19, inclusa la sospensione dei viaggi transprovinciali in molte parti del Paese. Alcuni analisti stimano un calo di oltre il 10%».

Infatti, nonostante i risultati incoraggianti registrati nella prima metà dell’anno (secondo i dati diffusi dal ministero della Cultura e del Turismo, nei primi tre trimestri del 2021 sono stati effettuati oltre 2,6 miliardi di viaggi domestici, con un aumento anno su anno del 39,1%, e con cifre che sono tornate al 58,5% rispetto ai livelli pre-pandemia), nel terzo trimestre, i viaggi nazionali hanno registrato una crescita di solo il 18,3% anno su anno.

Al 31 ottobre, almeno 27 importanti società quotate del settore turistico hanno riportato perdite nette e oltre il 60% registrando un calo degli utili su base annua.

Sempre il Global Times, sottolinea che «da gennaio a ottobre 2020, c’erano 22.794 agenzie di viaggi in Cina, ma il numero è sceso nel 2021 a 20.892, con un calo di circa l’8%»

Un dipendente di un’agenzia con sede a Pechino ha affermato che «oltre il 60% dei viaggi transprovinciali è stato annullato dopo l’inasprimento delle misure di prevenzione dell’epidemia», specificando però che le misure erano comprensibili a causa della diffusione dell’epidemia in vari luoghi del Paese.

Anche alcune grandi agenzie turistiche nazionali come Guilin Tourism Corp hanno subìto nuove perdite. La società ha affermato che nel terzo trimestre il suo fatturato è sceso del 13,2% su base annua e che ha registrato una perdita netta di 34,05 milioni di yuan.

Su Pinchain, portale cinese interamente focalizzato sul turismo trade, il fondatore di un tour operator locale dichiara che «a causa dell’epidemia, le vendite di prodotti per viaggi di gruppo durante la stagione invernale sono state molto scarse. Certo, non siamo solo noi, ma ora tutti i tour di gruppo non stanno vendendo bene. L’industria del turismo non ha avuto vita facile negli ultimi due anni. Alcuni amici hanno già cambiato lavoro e se ne sono andati».

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