VOICE OF LEADER di Pier Ezhaya – Per quanto cerchi di stare al passo coi tempi è inevitabile che, ogni tanto, i miei anni si facciano sentire e mi offrano prospettive lunghe come le ombre al tramonto.
Iniziai a lavorare nel turismo con alcuni contratti temporanei ai quali seguì quello a tempo indeterminato che accolsi come un premio Oscar consegnato ad Hollywood.
Finalmente potevo pianificare le mie spese future, aiutare economicamente la mia famiglia, affittare o comprare una casa e iniziare una “vita mia”. Da lì iniziò il mio percorso professionale fatto di enormi sacrifici, di grande impegno, di integrità e dedizione per le aziende che mi avevano dato quella possibilità. Anche grazie alla fortuna di aver incontrato alcune persone giuste, lungo il mio cammino, sono arrivato fin qui.
Perché dico tutto questo? Perché oggi mi sembra tutto diverso e quel modello superato.
Commentare le differenze con le nuove generazioni rischia di farmi sentire fuori tempo ma è indubbio che qualcosa ha fortemente cambiato l’approccio al lavoro.
Penso siano cambiati i bisogni e questo non è necessariamente un male; molti dei miti e dei modelli che aveva la mia generazione oggi sembrano, se non proprio assenti, almeno diluiti.
Fino a qualche anno fa si parlava di disoccupazione mentre oggi in moltissimi comparti le aziende fanno fatica a trovare personale. L’offerta ha superato la domanda e ne consegue che la domanda è diventata molto esigente.
Senza arrivare fino agli artigiani, anche nel nostro settore trovare addetti non è per nulla facile. Non lo è nel settore alberghiero – e questo tema è stato trattato in lungo e in largo – ma anche nel turismo organizzato la situazione è analoga. Nella distribuzione, dove non si può non ratificare un tema di “successione” dei nomi più importanti del travel, è molto difficile trovare nuove figure che si avviino a questa nuova professione. Nel tour operating non è molto diverso.
Il settore sembra non avere più la sensualità che aveva qualche anno fa.
E questo non ha a che fare solo con lo stipendio (che già è un tema) ma proprio con un modello, quello delle 40 ore settimanali e del posto fisso che ha perso molta magnitudo nelle preferenze dei più giovani.
Se questo accade non è perché i giovani siano più disinteressati o meno propensi al sacrificio ma perché sta cambiando radicalmente la nostra società, i suoi costumi e anche i suoi bisogni. Ad esempio, il tempo libero è diventato irrinunciabile mentre la mia generazione lo barattava senza esitazione per un modesto avanzamento di carriera o di salario.
A me piace pensare che se oggi l’approccio è questo ci sarà un motivo e, senza fare il comprensivo a tutti i costi, può darsi che ciò sia anche dipeso dagli esempi che noi per primi abbiamo dato alle nuove generazioni.
Per questo le aziende devono girare la parabola; devono capire come diventare attrattive e come incrociare i bisogni dei nuovi lavoratori. Il lavoro a distanza (odio il termine smart working che è persino sbagliato in inglese), va bene, ma non basta.
Serve aggiornare e ammodernare la scala di valori all’interno del mondo del lavoro perché oggi a un giovane collaboratore interessa maggiormente la qualità dell’ambiente aziendale piuttosto che la notorietà o la dimensione dell’azienda.
La parità tra i generi, i benefici per la comunità aziendale, l’attenzione al personale che deve diventare attenzione alla persona, il riconoscimento dei meriti, il far sentire il collaboratore un elemento importante dell’azienda e non una ruota dell’ingranaggio, la giusta sensibilità per l’ambiente e per il sociale che ogni azienda dovrebbe sviluppare sono diventati i punti cardinali dei nuovi lavoratori per scegliere un’impresa e offrire la propria collaborazione.
Perché oltre a tutto questo, oltre a una minor attrattività del settore e quindi a una maggior difficoltà di trovare collaboratori, gradualmente sbatteremo contro il problema demografico che ha già iniziato a farsi sentire ma che tra qualche decennio sarà veramente travolgente.
Partendo da quasi 60 milioni nel 2020, uno studio dell’Istat posiziona la popolazione italiana a 58 milioni nel 2030, a 54,1 nel 2050 e a 47,6 nel 2070. Ma non è questa la notizia peggiore; la popolazione sarà ancora più anziana con un rapporto di 1 giovane ogni 3 anziani e una età media di 50,7 anni nel 2050. La popolazione in età lavorativa scenderà dal 63,8% del 2020 al 53,3% del 2050.
E quindi? Ci buttiamo dalla finestra? No, non disperiamo. Però occorrono rimedi e credo che, al momento, l’unico sia allineare i valori delle aziende ai bisogni dei giovani e ascoltarli il più possibile invece di criticarli perché, pur in un modo che magari non ci piace, qualcosa ce lo stanno dicendo.
È inutile ricordare che un tempo era diverso perché quel tempo non esiste più e sono questi di oggi i tempi che dobbiamo vivere e affrontare.
Poi, siccome non scrivo sceneggiature della Disney, bisogna essere concreti e rivedere anche i salari nel turismo perché è vero che è un lavoro bellissimo ma è altrettanto vero che è uno dei più avari economicamente. Come questo si potrà conciliare con i margini risicati che producono le aziende del settore è un nuovo episodio della serie ma, come insegna una frase famosa, per risolvere un problema bisogna prima vederlo.
Poi le soluzioni si trovano. Si spera.
Dal 2020 è presidente di Astoi Confindustria Viaggi, associazione dei tour operator italiani, il cui Consiglio Direttivo lo vede membro sin dal 2012. È anche membro del Board di presidenza di Federturismo in Confindustria, nonché direttore generale Tour Operating di Alpitour World.
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