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Turismo enogastronomico, arriva il Libro Bianco sul lavoro

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È stato presentato nei giorni scorsi il Libro Bianco sulle professioni del turismo enogastronomico: si tratta di un vero e proprio documento strategico che intende tracciare il futuro delle professioni legate a uno degli ambiti più dinamici del turismo italiano, frutto di una azione congiunta dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico, Unioncamere, Associazione Nazionale Città dell’Olio, Associazione Nazionale Città del Vino, Cna Turismo e Commercio, Coldiretti, Confartigianato Turismo, Consulta Nazionale Distretti del Cibo, Federazione Nazionale delle Strade del Vino, dell’Olio e dei Sapori e Unione Italiana Vini.

Il Libro Bianco parte dall’assunto che il turismo enogastronomico, pur avendo un potenziale enorme, soffre di una carenza di profili professionali che possano sostenerne lo sviluppo, quali ad esempio i product manager, gli hospitality manager, che sono poi i passaggi chiave per sviluppare un’offerta integrata. Si tratta di un atto dovuto se si considera che questo comparto vanta un valore stimato intorno ai 40 miliardi di euro. Da qui l’esigenza di delineare nuovi percorsi formativi e sbloccare così un potenziale aggiuntivo sia in termini di valore economico che di nuovi posti di lavoro.

Per sostenere questa evoluzione e renderla strutturale è indispensabile adottare un linguaggio condiviso in tema di competenze professionali come afferma Federico Sisti, segretario generale Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura dell’Umbria: «Oggi il Libro Bianco sulle professioni del turismo enogastronomico assume un ruolo strategico: un lavoro corale che mira a definire con chiarezza ruoli, mansioni e abilità richieste alle nuove figure del settore. Le Camere di Commercio si confermano partner fondamentali in questo percorso, grazie alla loro esperienza nello sviluppo di sistemi di certificazione delle competenze, capaci di valorizzare i percorsi formativi, anche quelli maturati in ambiti non formali».

Dello stesso avviso anche Gianluca Caramanna, consigliere del ministero del Turismo, che osserva: «Il turismo enogastronomico, e più in generale il turismo rurale, rappresentano una frontiera molto importante nello sviluppo delle politiche agricole ed economiche dell’Ue. Per questo il riconoscimento e la valorizzazione delle professioni che stanno nascendo o si sono già consolidate in questo settore sono un obiettivo che dobbiamo tutti coltivare. L’Italia è una delle mete europee privilegiate per questo tipo di turismo che incrocia la complessità della filiera alimentare e della tutela paesaggistica. Occorrono dunque competenze ed esperienze perché l’offerta sia qualificata e attendibile».

Nel Libro Bianco vengono evidenziate alcuni figure prioritarie come quella del product manager, un professionista da inserire non nelle realtà produttive, bensì nelle dmo o nei consorzi. A questo professionista del turismo sarà affidato il compito fondamentale di attivare, nel territorio di appartenenza, le necessarie sinergie per sviluppare il prodotto del turismo enogastronomico. Dovrà quindi realizzare quelle condizioni indispensabili per favorire lo sviluppo e l’offerta di esperienze e per mettere in rete le imprese, affinché il turista enogastronomico possa essere accolto e coccolato in tutte le fasi del customer journey. L’obiettivo è sviluppare un’offerta turistica integrata che valorizzi il patrimonio enogastronomico locale.

Un altro processo formativo da attivare è quello dell’hospitality management: nelle microimprese è la proprietà stessa a gestire direttamente questa funzione nel 73% dei casi, con figure operative spesso impiegate part time e non dedicate in modo esclusivo al turismo. Anche nelle realtà di dimensioni maggiori prevale la gestione diretta (62% nelle imprese con 1.001–5.000 visitatori annui e 57% in quelle con oltre 5.000), ma cresce la quota di aziende che si affidano a professionisti specializzati, spesso supportati da team strutturati nei casi di gestione di grandi flussi turistici. In questo scenario, il 43% delle imprese con oltre 5.000 visitatori annui ha adottato un modello organizzativo con una business unit dedicata, dotata di un proprio manager di riferimento e di un budget specifico.

Infine, altro profilo fondamentale è quello del curatore di esperienze enogastronomiche. Si tratta di una figura di supporto alle aziende produttive in momenti chiave delle attività stagionali, come la vendemmia o la raccolta delle olive. I compiti di questo libero professionista sono: l’organizzazione di esperienze enogastronomiche da realizzare quando l’imprenditore e il suo staff sono impegnati in attività produttive; la creazione e la conduzione di itinerari turistici integrati tra realtà produttive o food-tour urbani; l’accompagnamento nelle differenti esperienze enogastronomiche, distinguendosi per la specificità della sua competenza nel settore stesso.

«In questo modo – evidenzia Roberta Garibaldi, presidente dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico – il curatore di turismo esperienziale si pone come un ponte tra il turismo stesso e l’enogastronomia. Definire e valorizzare con un percorso professionale per questa figura permetterebbe di valorizzare il potenziale dei laureati in Scienze Gastronomiche, dei sommelier, degli esperti di formaggi o dei ristoratori che vogliono estendere il proprio contributo al settore. Permetterebbe di dare contorni netti a chi oggi svolge parzialmente questo lavoro per la non chiarezza normativa, che si distingue per l’approccio innovativo e focalizzato sul patrimonio enogastronomico».

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