Saf, la partita più difficile per il trasporto aereo

Saf, la partita più difficile per il trasporto aereo
10 Ottobre 07:00 2025

Che sarebbe stata una maratona e non uno sprint era chiaro fin dall’inizio. Ma che il decollo dell’adozione su larga scala dei carburanti sostenibili per l’aviazione, conosciuti come Saf, sarebbe stato anche irto di ritardi, sovraccosti e reticenze era meno prevedibile.

Sono stati centinaia, negli ultimi anni, i proclami e gli accordi verso la transizione green del trasporto aereo globale; a conti fatti però la crisi del fuel sostenibile è conclamata. Da inizio anno risuona come una mantra l’allarme di associazioni e compagnie aeree: i viaggi aerei nel mondo hanno raggiunto livelli record, ma i vettori stanno consumando molto meno carburante sostenibile di quanto atteso.

La produzione è sottostimata, il prezzo è troppo alto, i sussidi scarseggiano. A tutti ciò occorre aggiungere anche una certa disaffezione: i temi della sostenibilità e del climate change sono scivolati nelle retrovie dell’agenda politica e mediatica; surclassati dalle “sirene” sull’economia, sui dazi Usa, sugli investimenti per il riarmo, sulle infinite possibilità (e sulla voracità energetica) dell’intelligenza artificiale.

La svolta green è passata di moda e i rinnovati vertici politici (Trump negli Usa e le destre populiste in Europa) quando non hanno boicottato, hanno rallentato gli ambiziosi piani di transizione energetica.

OBIETTIVI IRRAGGIUNGIBILI

Una combinazione pericolosa che rischia di annullare gli sforzi fatti fino a oggi da compagnie aeree, aeroporti, passeggeri (almeno coloro che hanno benevolmente pagato surcharge e tariffe speciali per finanziare la transizione) per raggiungere la tanto agognata quota del consumo di Saf al 10% entro il 2030. L’adozione di questi carburanti è stata finora molto più lenta, mentre i viaggi aerei sono aumentati del 10% già nel 2024, un +4% rispetto al periodo precedente la pandemia, secondo l’International Air Transport Association (Iata).

Nel corso del 2025 il consumo globale di Saf è stato pari solo allo 0,7% del totale, in netto ritardo rispetto alle stime della stessa Iata. «L’obiettivo del 10% non sarà raggiunto entro il 2030 – ha annunciato a Bloomberg qualche mese fa Jimmy Samartzis, amministratore delegato di LanzaJet Inc., società leader nella costruzione di impianti per carburanti sostenibili – e se anche l’obiettivo dovesse essere raggiunto, i benefici sarebbero annullati dalla crescita del traffico aereo».

L’IMPERATIVO CONTROPRODUCENTE

L’inquietudine del trasporto aereo, però, non è di facciata: sebbene il Saf sia in crisi, sta diventando imperativo convertire la produzione verso i carburanti sostenibili. Pochi giorni fa sempre Iata ha diramato un vero e proprio warning sul jet fuel classico, il cherosene, per l’area europea. “Le compagnie aeree potrebbero dover affrontare gravi difficoltà di approvvigionamento di carburante nei prossimi anni.

La produzione è crollata a causa della chiusura di raffinerie obsolete e inefficienti, mentre la domanda continua a crescere, costringendo l’Europa a fare sempre più affidamento sulle importazioni”, sostiene il report dell’associazione ricordando che il fuel comporta il 20-30% del totale dei costi di una compagnia aerea.

Le cause, però, sono da ricercare nella stessa transizione green: “L’esigenza di ridurre le emissioni sta impattando in maniera importante sul trasporto aereo”. La roadmap per arrivare al 2050 con zero emissioni è costellata di incertezze. “Il Saf funziona, ma la produzione è molto limitata e i costi ancora troppo alti”, sostiene Iata. Si entra di diritto nella sfera dei paradossi, o del più popolare “cane che si morde la coda”.

Sempre Iata, lo scorso luglio, ha alzato la voce contro l’Unione europea, sostenendo che la strategia Ue sul Saf sia costosa e inefficace sotto il profilo ambientale. Secondo il direttore generale Willie Walsh, l’Ue obbliga all’utilizzo di un prodotto «largamente indisponibile e l’approccio regolatorio penalizza gli operatori senza generare vantaggi ambientali concreti».

Per Walsh, i fornitori che producono Saf applicano prezzi gonfiati ben oltre i costi effettivi di produzione, approfittando della scarsità dell’offerta. «L’Ue ha di fatto facilitato la creazione di fornitori in posizione dominante che fissano prezzi elevati, senza alcun beneficio reale in termini ambientali».

GLI INCENTIVI UE

La risposta europea non si è fatta attendere. Lo scorso 12 settembre, la Commissione ha premiato le compagnie aeree che hanno utilizzato il Saf nel 2024 concedendo maggiori quote di emissione di Ets (nel quadro della transizione green una quota Ets rappresenta il diritto di emettere una tonnellata di anidride carbonica per impresa).

Le quote Ets sono pagate dalle imprese energivore in Europa come una “tassa” sulle emissioni e possono essere comprate e vendute all’interno di un mercato azionario vero e proprio che permette alle imprese meno inquinanti di vendere le quote in eccesso, e a quelle più inquinanti di acquistare quote sul mercato.

Questo sistema ideato dall’Ue dovrebbe incentivare la riconversione green delle imprese. In sostanza, la Commissione ha deciso di rimborsare una certa quantità di quote Ets alle compagnie aeree che hanno “bruciato” Saf invece che cherosene (in percentuale al loro utilizzo).

Il sostegno totale raggiunge 1,5 miliardi di euro e solo per il 2024 sono stati distribuiti circa 100 milioni di euro verso 53 operatori (Air France-Klm, Ryanair, Vueling, Iberia, British e Lufthansa tra le altre). Secondo l’Ue, “il sistema di sostegno copre in tutto o in parte la differenza di prezzo tra il jet fuel e i carburanti sostenibili”. Come a dire: il Saf ci salverà… a tutti i costi.

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L'Autore

Gabriele Simmini
Gabriele Simmini

Giornalista. Specializzato in trasporto aereo e ferroviario, economia, agenzie di viaggi, tecnologia ed estero. Segue convention e fiere internazionali.

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