Uno sguardo al turismo nella sua interezza da chi lo vive dagli anni Novanta. Quello di Domenico Aprea, ceo di Ota Viaggi, che con il padre Stefano e il fratello Mario ha visto crescere e mutare l’industria a fronte di una serie di eventi cui ha risposto sempre con solidità economica e finanziaria.
In questa intervista rilasciata a margine del grande evento di casa Ota – Obiettivo X – il patron affronta passato e futuro di settore con le riflessioni che ha imposto la convention sarda dove, per la prima volta, è stato istituito un tavolo di riflessione sui grandi temi normativi. Perché la politica può stravolgere l’economia (si sa) ed è ora di parteciparvi. Tutti.
In prima fila in platea, Aprea non ha perso neanche un minuto di ogni singolo panel, degli show, dei momenti motivazionali e ludici. Lasciando al suo pivot, Massimo Diana, direttore commerciale di Ota, tutti gli slanci necessari al palco. E lasciando al mercato tutti gli azzardi. Ota Viaggi è, e resta, concentrata sull’Italia, sulle vacanze delle famiglie, tutte. Sotto la sua guida l’azienda ha continuato con solidità il suo percorso divenendo un punto di riferimento per il Mare Italia e ridefinendo il modo in cui viviamo i viaggi. Per proseguire in questa direzione, senza il paracadute di mete alternative, bisogna essere un grande equilibrista, capace persino di portarsi in spalla il futuro, trasformando ogni cambiamento in un’opportunità per salire più in alto.
Come sta cambiando il Mare Italia?
«Il Covid ha rappresentato uno spartiacque. Prima della pandemia, il prodotto Mare Italia si vendeva quasi esclusivamente su soggiorni da 7 o 14 notti, in pensione completa o all inclusive. Oggi il mercato è molto più frammentato: proponiamo e vendiamo pacchetti di due, tre, cinque, sette o 11 notti – raramente di 14 – e sono cresciute formule come la mezza pensione o il bed & breakfast, che fino a qualche anno fa sarebbero state impensabili per una vacanza balneare. La flessibilità è diventata una richiesta e per noi un’attitudine imprescindibile».
Quali sono le conseguenze sul mercato dell’aumento dei prezzi nella filiera?
«L’aumento dei prezzi sta portando inevitabilmente a un accorciamento della filiera perché i margini di tour operator e agenzie non possono più essere ridotti. Non si può più pensare di tagliare sempre dallo stesso lato, a meno che non si riesca a creare un vero allineamento tra i partner coinvolti. Se ogni soggetto della filiera ha i propri costi da coprire e non si condivide una visione comune, non c’è spazio per la sostenibilità del sistema».
Si configura un futuro in cui nei trasporti la domanda supererà l’offerta. Quali sinergie si possono attivare con questo segmento?
«Dovremo necessariamente fare squadra. In alcune destinazioni sarà fondamentale avviare collaborazioni tra operatori e charter per ottimizzare costi e riempimenti. È il contrario di quanto accadeva prima: le compagnie mettevano in campo molti voli perché c’era più margine. Ora le destinazioni si sono ridotte, alcune rotte ven- gono tagliate anche a causa della presenza delle compagnie low cost».
La carenza di risorse umane nel mondo del turismo sta diventando un problema che prescinde dalla pandemia, da cui ha avuto origine. Come si può affrontare?
«La pandemia ha fatto nascere nuove riflessioni personali e, contemporaneamente, ha portato aiuti senza precedenti. In questo momento storico, ormai, è cambiato il concetto stesso di lavoro, specialmente nelle nuove generazioni che cercano impieghi differenti. Per affrontare la situazione dobbiamo attingere a risorse da altri Paesi e investire anni nella loro formazione. Serve tempo, dedizione e – soprattutto – una visione chiara da parte delle istituzioni, che supporti concreta- mente l’imprenditore».
Qual è l’agenzia di viaggi ideale con cui lavorare?
«L’agenzia ideale è quella che comprende il valore della formazione continua e la centralità della conoscenza del prodotto. Non basta avere una vetrina o una presenza sul territorio: oggi più che mai, bisogna conoscere in profondità le destinazioni, le strutture e le formule di soggiorno».
Com’è cambiato il rapporto con le agenzie?
«Il rapporto si è profondamente evoluto. In passato l’agenzia poteva vendere qualsiasi cosa, c’era un’offerta standardizzata e meno segmentazione. Oggi il mercato richiede specializzazione e conoscenza: l’agente di viaggi non può più improvvisare. Questo ha portato a una naturale selezione. Oggi collaboriamo con quelle agenzie che vogliono davvero fare squadra, che condividono la nostra filosofia di lavoro, che credono nella formazione».
Cosa si sentirebbe di dire a un giovane che intraprende oggi la carriera nel turismo approcciandosi a un prodotto come quello di Ota? Da dove bisogna iniziare?
«Gli direi di partire dalla base: la conoscenza del prodotto. Non si può pensare di lavorare nel turismo senza sapere davvero cosa si sta vendendo. Chi vuole intraprendere questo percorso deve formarsi in modo serio, partecipare agli eventi del settore – come Obiettivo X, ad esempio – affiancare i professionisti, osservare, ascoltare, fare domande. Ma deve anche metterci del suo: studiare da solo, approfondire, confrontarsi con le esigenze del cliente reale. Il nostro settore è cambiato: oggi il consumatore è informato, esigente, spesso arriva in agenzia con idee molto chiare quindi l’agente deve essere in grado di aggiungere valore».
Cosa è cambiato dagli anni Novanta nel modo di lavorare?
«Negli ultimi 30 anni è cambiato praticamente tutto. Negli anni Novanta il turismo era fatto quasi esclusivamente di prodotto pacchettizzato, gestito interamente dai tour operator: voli, trasferimenti, soggiorni, tutto confezionato e distribuito alle agenzie in modo lineare. Oggi il mercato è molto più frammentato e il consumatore è spesso più informato di chi dovrebbe vendergli la vacanza. È cambiato il modo di scegliere, di prenotare, di viaggiare. Il cliente vuole flessibilità, personalizzazione, confronto. Questo ha cambiato completamente le dinamiche di vendita».
Se potesse tornare indietro, in cosa migliorerebbe Ota Viaggi?
«Tutto è migliorabile. Se avessi potuto prevedere il Covid – come in passato altri eventi critici come l’11 settembre – guardando indietro, probabilmente avrei preferito fare meno cose ma con un controllo totale da parte nostra. In momenti di crisi, la complessità e la dipendenza da troppi fattori esterni diventano un limite. Oggi, tra pandemia, guerra e altri imprevisti, si conferma sempre di più l’importanza di essere più concentrati, più reattivi».
Perché tanti imprenditori prendono le distanze dalla politica?
«Succede sempre più spesso perché l’impresa viaggia a 10 e la politica a 2. I meccanismi istituzionali sono lenti e l’imprenditore non può permettersi di aspettare, eppure è la politica a regolare l’impresa. È un cane che si morde la coda».
Quest’anno si è registrato un avvicinamento tra il “club” Ota e le associazioni di categoria. La normativa sui pacchetti ha avuto un ruolo?
«Sì, è stato un segnale forte. La nuova normativa sui pacchetti ha rappresentato un punto di svolta che ha imposto una riflessione collettiva, tutti abbiamo capito che la situazione è diventata davvero complicata. L’avvicinamento alle associazioni di categoria è stato un passo naturale e necessario. È diventato evidente che non possiamo più restare ai margini del confronto istituzionale. Serve una voce comune, forte, competente, che rappresenti le esigenze reali degli operatori turistici, è necessario un dialogo più diretto con le istituzioni».
Qual è la sua filosofia di leadership come ceo di Ota Viaggi? Come motiva il team e se stesso in momenti complessi come la pandemia o l’incendio che ha colpito la vostra sede?
«Chi ricopre un ruolo di responsabilità deve imparare a motivarsi da solo: a volte la motivazione arriva dai risultati, altre volte dal coinvolgimento dei collaboratori o dal benessere dell’ambiente di lavoro. Quello che è successo – dalla pandemia alla guerra in centro Europa, fino all’incendio in sede – ha alzato il livello di difficoltà in maniera enorme. Però è proprio nei momenti complicati che devi riuscire a trasmettere energia alle persone più vicine a te, perché poi quell’energia si diffonde a cascata. Se salta quel passaggio, qualcosa comincia a non funzionare. La verità è che forse solo tra 50 o 100 anni riusciremo davvero a capire quello che abbiamo vissuto in questi ultimi cinque. Intanto, andiamo avanti ogni giorno cercando di affrontare tutto ciò che accade intorno a noi restando uniti».



