Overtourism, come trasformarlo da problema a opportunità

26 Ottobre 07:00 2023 Stampa questo articolo

Quando si fa riferimento all’andamento della stagione turistica è tipico da parte delle istituzioni e degli operatori snocciolare tutta una serie di numeri e di fattori che ne hanno influenzato lo svolgimento più o meno positivo. A questo proposito, spesso capita, ad esempio, di leggere report sulla diminuzione della spesa, delle presenze o sulla loro ripresa in termini numerici, soprattutto se rapportata al periodo precedente alla pandemia.

Eppure, esistono casi in cui le numerose presenze turistiche possono addirittura rappresentare un problema, è caso del fenomeno dell’overtourism. Questo si verifica nel momento in cui vi è una notevole concentrazione di turisti in specifiche destinazioni, spesso riconducibili in alcune città d’arte del nostro Paese come Venezia o Roma, coinvolgendo però anche diverse mete balneari. Pur trattandosi di un fenomeno localizzato, e per certi versi anche circoscritto territorialmente e temporalmente, non va però sottovalutato in quanto il suo impatto sui territori, le comunità locali e la loro stessa sostenibilità potrebbe essere più che rilevante.

Secondo la definizione data da un recente studio realizzato da Sociometrica, il fenomeno dell’overtourism “si concretizza nell’eventuale disequilibrio tra visitatori e comunità locali, nonché nella pressione esercitata sul patrimonio naturale, culturale e sulle infrastrutture di una destinazione, come delineato nei criteri sopra illustrati”.

Per prima cosa quindi, è necessario affrontare questo tema con il dovuto pragmatismo e chiarire che una narrativa istintiva e generalista potrebbe essere causa di effetti persino più gravi del fenomeno stesso, causando il deperimento dei tessuti economici e sociali di intere aree o di comunità che nel turismo riscontrano la principale fonte di sostentamento. Per cui è corretto tutelare il nostro territorio ma è anche necessario individuare metodi e strategie di compromesso che permettano di valorizzarlo senza impoverire determinate comunità.

A dirla tutta, pur avendo noi vari metri per valutare l’impatto delle attività antropiche sui territori, quanto riguarda l’overtourism concerne spesso la percezione che di questo si ha e che, come tale, può essere anche più oggettiva che soggettiva. Per fare un semplice esempio che ci riguarda da lontano: il famoso incrocio di Shibuya a Tokyo è conosciuto come quello più affollato al mondo ma se la mole di persone che lo attraversano ogni minuto è da considerarsi eccessivamente impattante per il contesto circostante, o se queste siano effettivamente troppe, è difficile da stabilirsi in maniera oggettiva; ci rimane la percezione che ciascuno di noi può darne e poco altro…anzi, parte significativa dell’esperienza stessa di visitare quel luogo è data proprio dal suo particolare affollamento che non crea in realtà particolari disagi a nessuno. Certo, l’avanzare di determinati fenomeni come i voli low cost o l’ampiamento a dismisura dei posti letto in virtù della nascita di nuove piattaforme digitali sono due facce della stessa medaglia che, se per un verso hanno maggiormente democraticizzato il viaggio, contribuendo alla sua massificazione, per altro verso ne hanno favorito l’oclocrazia.

Premesso quindi che certe mete sono naturalmente gettonate dal turismo di massa, proprio come le città d’arte o alcune destinazioni estive, ci sono almeno due ordini di rimedi adottabili.

Il primo riguarda l’adozione di correttivi normativi come: ingressi a numero chiuso in determinate aree, limitazione delle licenze alle attività ricettive, impedimento dei pernottamenti mordi e fuggi, interdizione delle aree maggiormente frequentate a determinate categorie di mezzi di trasporto. Queste soluzioni, potrebbero favorire un più semplice assorbimento dell’impatto turistico, ma è il loro abbinamento con il secondo ordine di soluzioni che potrebbe produrre gli effetti sperati.

Quest’ultimo riguarda il ricorso massiccio ai big data e a nuove piattaforme e strategie digitali tese ad ampliare destinazioni e periodi a disposizione del turista in modo da alleggerire la pressione antropica su determinati territori o aree della stessa città. L’intento non è quindi tanto quello di restringere la possibilità di visitare un determinato luogo bensì di renderlo maggiormente attrattivo e più a lungo durante l’anno, evidenziando anche la possibilità di visitare luoghi altrettanto belli. L’intento è quindi quello di “diluire” il turismo diversificandone la natura ed incentivando il viaggiatore ad ampliare la propria visuale.

Questo sarebbe un modo non solo di affrontare l’overtourism in maniera concreta ma anche di dare risposta ad alcune località del nostro Paese che passano dall’essere affollate a completamente deserte nel giro di poche settimane. Roma, ad esempio, è probabilmente più bella e vivibile a ottobre che non a luglio e anche molte altre località lo sono. Allungare la stagione non rappresenta solo un favore alla sostenibilità dei territori ma è per prima cosa un incentivo a alle comunità che in quei territori vivono, ciò che contribuisce anche ad elevare la qualità della vita di determinati luoghi sia per i turisti sia per i residenti, trasformando potenzialmente l’overtourism da problema a risorsa.

L'Autore

Maurizio Pimpinella
Maurizio Pimpinella

Presidente dell’Associazione Prestatori Servizi di Pagamento e della Fondazione Idh, già consigliere del ministero del Turismo per l’innovazione digitale. È stato presidente della filiera Assoknowledge di Confindustria, responsabile Uvet American Express Corporate Travel e promotore della Banca del turismo. È autore di diverse pubblicazioni e docente universitario.

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