Trasporto aereo, a luglio rallenta la crescita globale

09 Settembre 11:19 2019 Stampa questo articolo

Crescita col freno a mano nel trasporto aereo internazionale per il mese di luglio, pari ad un +3,6% dei passeggeri per chilometro (Rpk). Nel consueto monitoraggio mensile elaborato da Iata (che ha raggiunto quota 292 compagnie aeree aderenti) è vistosa la differenza con il trend di crescita annuo, che fino a giugno si era attestato intorno al +5%. In quasi tutte le macro regioni, l’aumento della domanda aerea risulta rallentato nonostante si tratti di uno dei mesi di punta della stagione estiva solitamente dinamica per i viaggi leisure.

L’Europa segna un +3,3%, mentre l’Asia-Pacifico registra una crescita ancor più contenuta del +2,7%. Ancor più modeste risultano le crescite nel Nord America (+1,5%) e nel Medio Oriente (+1,6%). Decisamente  migliori le performance nell’America Latina dove il trend di crescita si è attestato sul +4,1% e nella regione africana con un +3,1%.

Da rilevare che nel consuntivo dei traffici, i migliori risultati si sono registrati nei mercati domestici con i collegamenti nazionali e regionali: vistosa l’evoluzione in Cina con un aumento della Domanda aerea interna del +11,6% ed in Giappone (+4,7%).

A commento dei dati il direttore generale di Iata, Alexandre de Juniac, ha sminuito il valore poco soddisfacente del traffico di luglio limitandosi a ricordare che «i passeggeri hanno comunque confermato la loro affezione per il trasporto aereo, scelto quale opzione ottimale per le loro vacanze. Una preferenza che premia anche gli sforzi dell’aviazione commerciale nel contenere l’impatto ambientale con cospicui investimenti: basti pensare che rispetto agli anni novanta, le emissioni derivanti dai collegamenti aerei si sono dimezzate».

De Juniac è poi tornato nell’annosa polemica con i governi nazionali evidenziando che «il crescente ricorso a tasse ambientali a danno dell’industria aerea da parte dei governi europei, dimostra che gli amministratori pubblici sono più impegnati a penalizzare il settore piuttosto che collaborare con i suoi attori per una equa politica ambientale».

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Andrea Lovelock
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