Alitalia, hanno perso tutti (per ora)

26 Aprile 06:54 2017 Stampa questo articolo

Al referendum Alitalia ha vinto il no con il 67% dei voti, per un totale di 6.800 lavoratori che hanno bocciato l’ennesimo piano di ristrutturazione – o meglio di salvataggio – della compagnia. Vittoria, però, è una parola grossa.

Perché questo “no”, come scrive anche Lucia Annunziata sull’Huffington Post, è più che altro la scelta di un suicidio al posto dei sacrifici. Ha perso il governo che aveva firmato il pre-accordo con i sindacati. Hanno perso i sindacati stessi che quel piano, seppur con il naso turato, lo avevano avallato. E a passi incerti sono arrivati al 24 aprile senza offrire ai 12.500 dipendenti una linea convincente da seguire.

E hanno perso pure loro, i lavoratori, per cui si apre ora una stagione che potrebbe essere ancora più dura di quella prevista nel piano. Ha perso certamente la politica italiana, e più in generale il sistema-Paese, che negli anni ha investito oltre sette miliardi in Alitalia senza riuscire a rimetterla in piedi. E ha perso addirittura Etihad, il salvatore venuto da Oriente, che dopo aver acquisito il 49% della società non ha dotato il vettore di un management capace di fare profitti e non mandare in fumo, come succede tuttora, 1 milione di euro al giorno.

Hanno perso tutti, insomma. Anche noi che abbiamo raccontato con toni enfatici delle nuove divise, dell’Accademia di Fiumicino, del ritorno all’utile professato da Montezemolo.

Ma cosa succederà adesso? Vediamo i possibili scenari.

Commissariamento, fallimento e vendita della compagnia. I tre scenari sono alternative che si intersecano, ovvero uno può essere la diretta conseguenza dell’altro.

Il respingimento del pre-accordo dovrebbe sfociare, infatti, nella soluzione più drastica (fallimento dopo liquidazione). Infatti il cda straordinario ha già fatto sapere che una ricapitalizzazione è pressoché impossibile, convocando la prossima assemblea dei soci per il 27 aprile.

Il ministro per lo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, domenica aveva annunciato che con la vittoria del No «si va verso il rischio concretissimo di una liquidazione della compagnia», e che il governo «non è intenzionato a mettere ancora soldi pubblici dentro Alitalia». Il costo di tale liquidazione ammonterebbe a circa un miliardo di euro e potrebbe generare il fallimento o la vendita a terzi.

Il cda sta formalizzando in queste ore la richiesta di amministrazione straordinaria speciale (con probabile contestuale uscita di alcuni soci). Di conseguenza, il governo nominerà da uno a tre commissari, che dovrebbero preparare il piano industriale con questi obiettivi: cessare le attività, riportare la società in attivo oppure venderla a una terza parte.

Senza acquirenti o nuovi finanziatori, infine, il commissario chiederebbe il fallimento della compagnia, con la conseguente dichiarazione di insolvenza da parte del Tribunale. A quel punto avrebbe inizio la procedura liquidatoria, con 2 anni di cassa integrazione, Naspi e quindi disoccupazione per i lavoratori, con contestuale cessione degli asset della compagnia.

L’amministrazione straordinaria, però, risulta complicata per una società come Alitalia, perché dovrebbe garantire comunque l’erogazione dei servizi (operatività dei voli) e ottemperare alle richieste dei creditori, che vorranno essere pagati subito, con un ulteriore accumulo di debiti.

Difficile, quindi, l’ipotesi di riuscire a vendere la società. L’interesse di Lufthansa per l’acquisto di Alitalia era un’idea concreta a fronte di un piano che in 3 anni avesse rimesso in ordine i conti. Già le voci di corridoio pre referendum parlavano di una road map con Etihad che assicurava la riorganizzazione e la conseguente “promessa” di una vendita a Lufthansa.

Ma ad oggi il gigante tedesco non sarebbe più interessato ad acquisire una società sull’orlo di una crisi di nervi, oltre che di liquidità e di debiti. A meno che non ottenesse garanzie di poter manovrare e gestire una nuova società in totale autonomia sia rispetto ai soci sia rispetto ai sindacati.

L’ipotesi più probabile, quindi, resta quella delineata nei giorni scorsi dal presidente di Alitalia, Luigi Gubitosi, che in caso di vittoria del “no” aveva annunciato come unica soluzione «l’ accompagnamento verso la liquidazione dell’azienda, il fallimento». Un de profundis per Alitalia che sottolinea con più forza la sconfitta politica, sociale ed economica del sistema-Paese. Una sconfitta per tutti.

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