Una vera e propria chiamata alle armi contro Booking. Anche in Italia. Federalberghi, insieme a Hotrec – l’associazione europea dell’ospitalità – e alle associazioni nazionali degli albergatori di altri 25 Paesi europei, promuove un’azione legale collettiva paneuropea contro la piattaforma delle prenotazioni per le vacanze. Il motivo? L’uso da parte di Booking di clausole anticoncorrenziali, che ha causato un danno finanziario significativo per le imprese turistico ricettive italiane.
L’iniziativa è nata in seguito alla sentenza della Corte di giustizia europea (Cgue) del 19 settembre 2024, in base alla quale le clausole di parità tariffaria imposte da Booking (la cosiddetta parity rate) violavano il diritto della concorrenza dell’Ue.
“Negli ultimi venti anni – si legge in una nota di Federalberghi – queste clausole hanno posto gli hotel italiani in una posizione di notevole svantaggio competitivo. Hanno impedito la concorrenza sui prezzi tra Booking e altre piattaforme online, gonfiando le commissioni pagate dagli hotel. Inoltre, hanno impedito agli hotel di offrire prezzi o disponibilità migliori sui propri siti web, limitando le vendite dirette e l’autonomia”.
Per questo, spiega Federalberghi, “in base ai principi generali del diritto europeo della concorrenza, gli hotel italiani hanno il diritto di chiedere un risarcimento a Booking per le perdite finanziarie subite e possono avere diritto a recuperare una parte significativa delle commissioni pagate alla piattaforma nel periodo che va dal 2004 al 2024, oltre agli interessi”.
«Questa è un’opportunità per gli albergatori italiani per difendere i propri diritti, recuperare le perdite e sostenere un mercato online più equo», ha affermato Alessandro Nucara, direttore generale di Federalberghi.
Il caso sarà condotto e gestito da un team di giuristi ed economisti di grande e riconosciuta esperienza nel campo della concorrenza, che hanno già ottenuto con successo la sentenza della Corte di giustizia del 19 settembre 2024. Tutti gli alberghi italiani possono aderire, registrandosi sul sito internet mybookingclaim.com. Il termine ultimo per la partecipazione è il 31 luglio 2025.
L’azione legale è coordinata dalla fondazione Hotel Claims Alliance e sarà portata davanti ai tribunali dei Paesi Bassi, consentendo un approccio unificato ed efficiente all’esecuzione in tutta Europa. A sostenerla le associazioni nazionali degli albergatori di Austria, Belgio, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Italia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Svizzera.
Non si è fatta comunque attendere la replica di Booking: “Non siamo stati informati di alcuna azione legale a livello europeo da parte degli hotel e desideriamo sottolineare che le conclusioni tratte dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (a cui fa riferimento Hotrec) sono errate e fuorvianti“.
“La sentenza della Corte di Giustizia – prosegue la nota – riguarda nello specifico quesiti posti dal Tribunale distrettuale di Amsterdam, nell’ambito di una causa tra Booking e alcuni hotel tedeschi, in merito alla legittimità delle clausole di parità tariffaria in Germania tra il 2006 e il 2016. La Corte non ha stabilito che tali clausole fossero anticoncorrenziali o che avessero effetti sulla concorrenza. Sarà ora il Tribunale di Amsterdam a dover prendere una decisione specifica in merito alle clausole di parità tariffaria tedesche”.
INTANTO BOOKING FA PACE COL FISCO ITALIANO
Pace fatta tra Booking e il fisco italiano, con una transazione di 312 milioni di euro. Si chiude così con un decreto di archiviazione il contenzioso legato alla raccolta della cedolare secca al 21% sugli affitti brevi intermediati dalla piattaforma.
L’intera vicenda risale al 2017, quando nel nostro ordinamento è stato introdotto l’obbligo per le piattaforme di presentare la dichiarazione di sostituto d’imposta e di fatto trattenere il 21% incassato dagli host per riversarlo al fisco. La novità introdotta nella disciplina italiana ha acceso subito i riflettori su Airbnb e su Booking che rappresentavano, e lo sono tuttora, i principali player nel settore degli affitti brevi. Solo nell’ottobre del 2023, dopo il placet dei giudici comunitari (arrivato nel 2022), il Consiglio di Stato ha determinato la correttezza della legge nazionale.
E infatti proprio Airbnb ha aperto la stagione delle transazioni, accordandosi col fisco italiano per un versamento complessivo di 576 milioni di euro. La collaborazione di Booking, in sede di accertamento, ha reso possibile quantificare le somme da pagare e giungere a un’equa transazione. Per Booking si tratta della seconda transazione conclusa col fisco italiano, dopo aver sborsato negli anni passati di 94 milioni di euro relativi all’Iva non versata.
I vertici di Booking hanno subito rilasciato una dichiarazione nella quale esprimono soddisfazione: “Siamo lieti di aver raggiunto un accordo con le autorità italiane in merito alla raccolta dell’imposta sul reddito delle persone fisiche per i proprietari di alloggi destinati agli affitti a breve termine. Accogliamo con favore la chiarezza introdotta nel dicembre 2023 sul ruolo delle piattaforme digitali indipendenti nella raccolta e nel versamento di questa imposta da parte dei singoli proprietari alle autorità fiscali. A partire da gennaio 2024 ci occupiamo direttamente della riscossione di tale imposta per conto dei proprietari interessati”.



