Duemila anni di Arabia Saudita: viaggi nella storia ad AlUla

31 Gennaio 07:00 2023 Stampa questo articolo

Arrivando in Arabia Saudita, ci si chiede come ci possano essere delle strutture ricettive a 5 stelle e oltre, pronte e funzionanti, se fino a un anno prima non esisteva nemmeno il visto turistico. E non si trovano solo alberghi, ma anche trasporti, servizi a terra, itinerari, visite guidate e così via. Certo, avere una disponibilità economica che non mette troppi limiti agli investimenti aiuta. Ma bisogna anche avere la capacità di spendere i propri soldi.

Dal momento in cui è stato deciso di aprire il Paese al turismo, per prima cosa sono state individuate alcune mete, ognuna delle quali consente di fare un’esperienza diversa. AlUla è forse la più affascinante e in grado di colpire due sensibilità: quella per il paesaggio e quella per la storia.

Si tratta di un’area desertica molto vasta, a circa due ore di volo dalla capitale, Riyadh, e a 200 km dal Mar Rosso, divisa in ben cinque distretti. Quello che si vede attraversando questo territorio, già quando si lascia l‘aeroporto, ricorda un po’ i roccioni della Cappadocia, con pareti verticali e a volte una superficie in cima più larga della base.

Quando, nel centro di una spianata, si ha la sensazione di vedere alcune rocce riflesse come in uno specchio, quella non è una illusione ottica ma la sala da concerti Maraya. Si tratta di un edificio a specchi, il più grande al mondo, perfettamente mimetizzato. La formazione più suggestiva è però Elephant Rock, un roccione che il tempo ha modellato fino a somigliare a un elefante con la proboscide che tocca terra. Tutt’intorno è stato organizzato un ambiente accogliente con musica diffusa, luci colorate, ristorante e alcuni chioschi per bevande calde e fredde. Ci si può anche sedere per consumare il tipico caffè saudita (molto saudita e poco caffè, a dire il vero) o anche solo chiacchierare.

A frequentarlo anche abitanti locali, non solo turisti. L’interesse degli archeologi, però, si concentra su Hegra, la città vecchia, sito Unesco già dal 2008, che risale a ben oltre 2.600 anni fa. All’interno di un’oasi rigogliosissima, sono state portate alla luce le rovine della città. Un labirinto di edifici bassi che permettono di ricostruire come si svolgeva la vita a quell’epoca, quando si potevano contare 900 case, 400 negozi e cinque piazze. Ma a poca distanza si trovano le tombe dei leoni, la necropoli con oltre 100 monumenti funebri scavati nella roccia, alcuni dei quali decisamente sontuosi e che, grazie alle iscrizioni incise sulla pietra, forniscono informazioni importanti per ricostruire le lingue parlate in quelle aree.

Il contributo più decisivo, comunque, agli archeologi linguisti è dato da Jabal Ikmah, definito “una biblioteca a cielo aperto” perché sulle pareti di un corridoio naturale, tra due rocce, sono incise in rilievo centinaia di iscrizioni grazie alle quali sono state individuate le caratteristiche della lingua araba delle origini, oltre che preziose informazioni su credenze e pratiche religiose dell’epoca.

Anche ad AlUla non mancano le strutture ricettive. Tutte rigorosamente compatibili con la sostenibilità ambientale e integrate con il paesaggio e le testimonianze storico-archeologiche. Anche se non si può tacere qualche perplessità sul progetto di ricavare un boutique hotel proprio nel perimetro della città vecchia di Hegra. In totale, comunque, sono disponibili 5mila camere, che dovrebbero raddoppiare entro il 2035.

LA STORIA
«Da grande sognavo di fare la guida»
«È vero che il Paese si è aperto ai turisti solo da un anno, ma noi ci stavamo preparando già da diverso tempo. Nel 2018 il governo organizzò un convegno nel quale esperti di tutto il mondo vennero a raccontarci come funziona l’industria del turismo». A parlare è Alì Aligi, ingegnere elettronico il cui sogno è sempre stato fare la guida turistica. Durante quell’evento ebbe una chiacchierata illuminante con Marcus Bauer, giovane professore universitario tedesco che insegna management del turismo sostenibile.

«Gli dissi che volevo far conoscere a tutti il mio bellissimo Paese. E per questo avrei voluto fare la guida. Ma lui mi disse che i turisti non hanno più bisogno di una guida per sapere tutto sul monumento che hanno davanti. Per questo basta uno smartphone. «Allora devo rinunciare?», gli chiesi. E lui: «No, ma non devi pensare di raccontare ai turisti storia e monumenti. Devi raccontare te stesso. È l’unica cosa che un software non può fare al posto tuo».

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Giampiero Moncada
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