Pagamenti digitali nel turismo: chi non si adegua è perduto

27 Giugno 11:15 2023 Stampa questo articolo

Sono pochi in Italia i temi capaci di appassionare visceralmente le persone tanto da scaturire quasi in un tifo da stadio, e quello dei pagamenti elettronici è proprio uno di questi, animando i contendenti (in linea di massima strenuamente aggrappati alle proprie convinzioni) come se fossero dei novelli guelfi e ghibellini dell’era digitale.

In effetti, il dibattito su questo argomento non solo è sempre di grande attualità – anche in virtù delle novità che lo riguardano in continuazione – ma vive anche di veri e propri momenti di hype.

Prendiamo ad esempio una delle categorie considerata tra le più intransigenti quanto a rifiuto del Pos: i tassisti. Di recente, un interessante servizio de Le Iene ha contribuito ad alimentare l’immagine del tassista scaltro, simile magari a quella del tassista che sbaglia volutamente strada per far girare il tassametro. Nel video, infatti, si documenta come molti, pur di evitare di pagare le tasse, inventino le scuse più disparate per non utilizzare il Pos, fino a un sistema, più o meno codificato, per il quale dal 20 del mese si stacca proprio l’apparecchio. A quanto pare poi, questa abitudine sarebbe particolarmente diffusa con gli stranieri, magari meno propensi a “fare storie” su come pagare una corsa.

Non saprei quanto questo fenomeno sia effettivamente diffuso, ma viaggiando spesso in taxi posso dire per esperienza che sono numerosi i tassisti che invece apprezzano i pagamenti elettronici e ritengono che siano uno strumento che favorisce il loro lavoro e la loro competitività, soprattutto nei confronti di servizi come Ncc o Uber che non fanno certo di questi problemi, un fenomeno che ho potuto verificare anche attraverso gli approfondimenti effettuati dal Centro Studi Apsp su questo tema. Questi tassisti, a differenza di quelli citati nel servizio de Le Iene, utilizzano abitualmente il Pos per incrementare le opportunità di lavoro, in particolare proprio con i turisti stranieri perché di norma più avvezzi a ricorrere alla moneta elettronica. Lo stesso vale per manager, professionisti e lavoratori che di solito hanno ben pochi spiccioli con sé, sia per le corse lunghe che per quelle brevi.

Insomma, c’è chi la vuole cotta e c’è chi la vuole cruda, rimane però un dato incontrovertibile recentemente emerso nell’ambito di alcune inchieste svolte dalla magistratura: nei periodi in cui è cresciuto l’utilizzo della moneta elettronica lo spazio per alcune attività illecite e il riciclaggio di denaro è stato inevitabilmente ridotto, tanto è vero che diversi boss della ‘ndrangheta sono stati intercettati mentre lamentavano una cospicua diminuzione del loro giro d’affari dovuto allo scarso utilizzo di contanti. Comunque la si veda, questo è un elemento oggettivo di cui bisogna tenere conto.

Ritengo, però, che una parte rilevante del dibattito sui pagamenti elettronici sia frutto di incomprensioni, fraintendimenti e di una cultura finanziaria di cui l’Italia è carente. I pagamenti elettronici sono troppo spesso visti come un costo, anziché come un investimento e quindi come una risorsa. Per sviluppare la propria attività, infatti, qualsiasi imprenditore (piccolo o grande che sia) è normalmente disposto a sostenere investimenti: chi in sicurezza, chi in infrastrutture e macchinari, chi in competenze, chi in capitale umano e via dicendo. Per quanto riguarda i pagamenti elettronici si tratta della stessa cosa, ovvero di un investimento sia in sicurezza e semplificazione sia volto ad attrarre un pubblico più ampio.

Rimanendo sempre all’esempio del tassista, sarebbe come dire che uno di questi che lavora, ad esempio, con gruppi che si muovono dalla città all’aeroporto e viceversa, preferisce fare questi spostamenti con una vecchia Punto anziché con un ampio e confortevole minivan: è evidente che sia meno competitivo, meno performante e, in definitiva, rischi di ridurre sensibilmente la sua fetta di mercato rispetto ai concorrenti. È esattamente quello che stanno rischiano tutti quelli che credono che rifiutare il Pos – anche attraverso vari sotterfugi – sia per loro conveniente.

Andrebbe compreso che la trasformazione digitale e quella dei pagamenti sono dei processi che non possono essere arrestati, ma sono dettati essenzialmente dalle preferenze dei consumatori che orientano il mercato: chi si adegua sarà competitivo, chi non lo farà sarà rigettato.

  Articolo "taggato" come:
  Categorie

L'Autore

Maurizio Pimpinella
Maurizio Pimpinella

Presidente dell’Associazione Prestatori Servizi di Pagamento e della Fondazione Idh, già consigliere del ministero del Turismo per l’innovazione digitale. È stato presidente della filiera Assoknowledge di Confindustria, responsabile Uvet American Express Corporate Travel e promotore della Banca del turismo. È autore di diverse pubblicazioni e docente universitario.

Guarda altri articoli