Sharing economy a carte scoperte

30 Marzo 11:00 2017 Stampa questo articolo

Basta una sola cifra per capire l’entità della rivoluzione condotta dalla sharing economy sul mondo dei servizi: nel 2015 il fatturato relativo agli alloggi tra privati, trasporti tra privati e richiesta di servizi professionali con modalità burter si è attestato sui 28 miliardi di euro.

Ma secondo una ricerca di Phocuswright l’impatto vero si avrà nel 2025 quando nell’ambito della cosidetta “economia della condivisione” le transazioni direttamente o indirettamente legate al turismo, ai trasporti e al mondo dei viaggi, avranno un valore di 570 miliardi di euro. Da Airbnb a BlaBlacar, da Uber a Eatwith, l’onda anomala della sharing economy si è di fatto abbattuta sul mondo dell’hôtellerie, dei trasporti e della ristorazione. Sostanzialmente sul core business del mondo dei viaggi. Tra i casi recenti c’è anche ToursByLocals: non guide turistiche, ma persone del luogo che offrono ai visitatori esperienze particolari, personalizzate, come lezioni di cucina con prodotti tipici oppure degustazioni nei migliori bar del posto. Dei veri e propri esperti della città che accompagnano i viaggiatori, soprattutto i singoli, in luoghi caratteristici e spesso poco citati dalle guide tradizionali, per esperienze sempre genuine e folcloristiche. Questa è una delle piattaforme dedicate ai servizi turistici fai da te che oggi si sta diffondendo in oltre 90 Paesi del mondo. Siamo agli albori di un nuovo concetto di viaggio sartoriale, ma con tante incognite che vanno dalla improvvisazione alla truffa.

Di certo se si considera che, al momento, secondo una ricerca della Bocconi, nell’universo online sono attive 480 piattaforme di cui un buon 45% operanti nell’ambito dei servizi per il tempo libero, si comprende bene che le preoccupazioni dei player tradizionali, dagli albergatori agli operatori turistici in genere, sono più che fondate. Non a caso, è proprio la forte pressione sui governi nazionali e sull’Ue per una regolamentazione a tenere banco sui media specializzati. In altre parole, dal mondo della distribuzione tradizionale del prodotto turistico (che sia albergo o ristorante poco importa) arriva un messaggio molto forte ed esplicito: giocare a carte scoperte è un conto; giocare con competitor che non hanno regole, o non le rispettano, è tutt’altro.

A ben vedere i primi tentativi di regolamentazione cominciano ad affiorare, sia a livello nazionale che europeo, ma è sul terreno fiscale che – secondo gli analisti – si dovrà giocare la madre di tutte le battaglie. Ad oggi ci sono modelli che cercano di distinguere i livelli di tassazione a seconda delle modalità di transazioni: se esse derivano da grandi piattaforme commerciali o se provengono da operazioni individuali di singoli soggetti.

La Francia, ad esempio, ha già deciso: sono le piattaforme (primo tra tutti il colosso Airbnb) ad avere la responsabilità di raccogliere e pagare anticipatamente le tasse dovute per le transazioni effettuate, come viene loro imposta l’iscrizione a specifici registri fiscali. Ma in altri Paesi europei si è ancora all’anno zero. Ed è proprio questa incertezza, combinata alla sensazione di operare in una sorta di terra di nessuno, che prosperano le distorsioni della sharing economy. Un settore che, se da un lato ha favorito e innalzato i grandi volumi di utenze turistiche, dall’altra ha stravolto e destabilizzato l’industria turistica, per sua natura sempre molto sensibile agli sconvolgimenti operativi.

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Andrea Lovelock
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