Il rischio di gettare il cuore oltre l’ostacolo è che questo si rompa. Un’eventualità cui l’arte del kintsugi pone rimedio. Così, come ceramisti giapponesi, ricomponiamo sin da ora i cocci con filamenti d’oro. Veniamo al dunque: se è vero che il turismo quest’anno si è superato incassando oltre 2mila miliardi di dollari, è altrettanto vero che il sistema soffre. E noi con lui.
La prima ferita da decorare è il climate change: il settore arranca e l’Un Tourism vara solo ora il suo Piano, come se non si fosse accorto prima di incendi e alluvioni fuori dal comune. C’è poi l’overtourism che opprime Amalfi, Barcellona, Bali, New York. Tutti ne parlano, ma nulla si muove: gli interessi in gioco – in fin dei conti – valgono più della sostenibilità, di cui però continueremo impunemente a riempirci la bocca.
Terza piaga il vil denaro. L’inflazione ha gonfiato i prezzi e c’è chi ci ha marciato,
diciamolo. A farne le spese soprattutto le famiglie medie, imbrigliate nel buy now pay later pur di partire. Ci feriscono, a questo proposito, certi stipendi inadeguati, che sono tra le prime cause della ritrosia dei giovani a impiegarsi nel turismo. E ci ferisce la gerontocrazia di chi ostacola, invece di favorire, la carriera di colui che a breve dovrà succedergli. Ci autoinfliggiamo una ferita impiegando con naturalezza il pronome colui invece che colei, a conferma di un maschilismo congenito e di una certa propensione a pestarsi i piedi a colpi di tacco.
Ma la questione si fa ben più seria (e dolorosa) quando arriva il capo delle operazioni umanitarie dell’Onu a mettere il sigillo su questo 2025: «Siamo in un mondo apatico, dominato da brutalità, impunità e indifferenza». Non fa sconti Tom Fletcher sancendo la più forte contrazione degli aiuti dell’ultima decade, per cui sono state abbandonate al proprio destino 25 milioni di persone in più rispetto all’anno scorso.
Palestina, Sudan, Myanmar: sono solo alcune delle destinazioni dove il nostro cuore atterra e va in pezzi. Per ricostruirlo ci affidiamo – come racconta la nostra cover di fine anno – alla lacca dorata dei ceramisti giapponesi, ma anche al vicino itai doshin, che sta per “diversi corpi, stessa mente”. Perché solo agendo come un unico organismo per un obiettivo comune potremo salvarci.



