Venere-influencer e i cazzotti
(per ora) immeritati

24 Aprile 12:53 2023 Stampa questo articolo

Può piacere o dispiacere, ma lo spot “Italia Open to Meraviglia” è il primo vero colpo messo a segno, sul terreno del marketing, dal ministero del Turismo di Daniela Santanchè e dalla nascente Enit Spa guidata da Ivana Jelinic. Non è parere di chi scrive, ma lo dimostrano i fatti: la campagna lanciata giovedì a Roma, sotto la Lanterna di Fuksas, è sulla bocca di tutti. Della Venere-influencer, scelta come testimonial (secondo alcuni boomer, a detta di altri trash), ne sparla Wired, ne commenta le fattezze Vittorio Sgarbi, ne scrive Riccardo Pirrone – il social media manager di Taffo, per intenderci – sulle colonne de Il Sole 24 Ore. Ne narrano le gesta Il Corriere della Sera, La Stampa, La Repubblica; si straccia le vesti Open di Enrico Mentana, oramai avvezzo a pratiche acchiappa-clic. L’intero circo mediatico è insomma eccitatissimo, come mai prima d’ora per questioni affini al turismo.

E mentre sui social fioccano i meme – come quello “Open to Mbuti” che vede l’indimenticabile Vulvia di Corrado Guzzanti sostituire l’opera di Botticelli – si muove persino il suo alter ego Chiara Ferragni con stories in cui rimembra quando anch’ella addentava tranci di pizza come la suddetta Venere. E quando Selvaggia Lucarelli lancia il suo affondo, denunciando su Il Fatto Quotidiano l’impiego di immagini di repertorio di una cantina slovena, la faccenda indigna anche la sora Mariuccia, che di marketing a dire il vero non se n’è mai occupata. Insomma, l’influencer virtuale influenza i colleghi in carne e ossa, che a loro volta influenzano le masse: impiegati, baristi, manovali, esperti o meno di pubblicità e turismo.

Un’onda anomala di indignazione che, parimenti, rende la campagna virale, con sottile compiacimento dei genitori di Venereh (l’h finale per distinguerla dalla sorella maggiore custodita agli Uffizi): mamma Santanchè e papà Marco Testa, figlio dell’autorevole Armando che dà il nome all’agenzia che ha curato la campagna su incarico del Mitur. Perché gira che ti rigira, in comunicazione val sempre il vecchio detto: “Nel bene o nel male, purché se ne parli”.

Ma il tema, dirà qualcuno, è l’impiego del denaro pubblico: i 9 milioni di euro spesi per “Italia Open to Meraviglia”. «Soldi buttati», «vergogna!», grida il popolo. Ma c’è un passaggio che in svariati articoli sfugge. La cifra incriminata non è l’obolo riconosciuto all’agenzia Testa, pagata per l’esattezza 138.000 euro, bensì il budget stanziato dal ministero del Turismo per declinare la campagna laddove necessario: ovvero all’estero (prima tappa all’Atm di Dubai dal 1° al 4 maggio), negli snodi internazionali di traffico e sui canali digitali, in termini di advertising. Quattro milioni e più andranno dunque agli hub aeroportuali che ospiteranno i messaggi di Venere, altrettanti saranno impiegati in campagne crossmediali al preciso scopo di portare traffico su Italia.it.

Qui sopraggiunge un altro tema che ha fatto discutere: la presunta dimenticanza per cui il sito Opentomeraviglia.it non è stato registrato, lasciando campo libero a Marketing Toys che ha prontamente acquistato il dominio, con tanto di ritorno d’immagine per l’agenzia e parallelo shitstorm sul ministero “smemorello”. Un giorno intero di battage fino all’intervento smorza-polemiche di Santanchè: “Brutta l’ignoranza ma la malafede ancora di più #italiaopentomeraviglia è il claim della campagna non un sito. Il nostro sito è italia.it (presente infatti su tutti i manifesti che saranno affissi all’estero) ed il suo volto è #venereitalia23”, scrive la ministra su Twitter tra un’intervista a Radio Deejay e una a Rtl, giusto per dimostrare che la strategia, lei, ce l’ha ben chiara.

Per gli addetti ai lavori che ci leggono: i risultati della campagna ministeriale “Italia Open to Meraviglia”, al di là dei legittimi commenti a caldo, potranno essere calcolati solo nel tempo, e non soltanto in termini di arrivi turistici: quello che si misurerà sarà il posizionamento del brand Italia nei rating che contano, l’impatto del turismo sul Pil anche in relazione ai principali mercati incoming e, a latere – ma qui Venere c’entra ben poco – la capacità di fare rete tra pubblico e privato, qualificare offerta ricettiva e collegamenti, potenziare le infrastrutture anche grazie al benedetto Pnrr. Un tetris di fattori utile a svecchiare i target e a spalmare i flussi turistici sull’intera Penisola, durante tutto l’anno.

Intanto – dico, intanto – vale la pena abbracciare Venere invece di prenderla a cazzotti. Il momento per fustigarla, se davvero lo meriterà, arriverà tra qualche annetto. Di certo non ora.

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Roberta Rianna
Roberta Rianna

Direttore responsabile

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