Wttc, intervista a Julia Simpson:
«Il turismo come soft power»

Wttc, intervista a Julia Simpson: <br>«Il turismo come soft power»
22 Novembre 08:16 2023 Stampa questo articolo

RWANDA – La scommessa del Rwanda l’ha vinta: con il suo Global Summit, il World Travel and Tourism Council (Wttc) ha fatto conoscere a operatori turistici e politici che arrivavano da tutto il mondo un Paese che ha messo al bando ogni forma di violenza. Perfino l’aggressività verbale. E con le politiche per la sostenibilità ambientale è pronto ad accogliere un turismo che apprezza le bellezze naturalistiche, come il prezioso patrimonio dei gorilla di montagna, salvaguardati con rigore quasi maniacale.

L’operazione del Wttc ha voluto lanciare l’Africa subsahariana come destinazione emergente dei prossimi 10 anni e il Rwanda propone la formula della collaborazione transfrontaliera: non a caso, all’inaugurazione del summit c’erano, oltre al Presidente della Repubblica che ospitava l’evento, anche i presidenti dei confinanti Uganda e Burundi.

A fare la regia dell’evento, e quindi a costruire le relazioni politiche internazionali, la ceo del Wttc, Julia Simpson, insieme ad Arnold Donald, chairman uscente che sarà ora sostituito da Greg O’Hara, come annunciato proprio durante la cerimonia conclusiva dell’appuntamento africano.

A Julia Simpson, L’Agenzia Di Viaggi Magazine – in una video intervista – ha chiesto di tirare le somme di questa edizione e di indicare i principali trend del turismo mondiale per i prossimi anni.

Avete detto che in Rwanda ci sono grandi opportunità di investimenti. Il responsabile del Rwanda Development Board, a sua volta, ha replicato: «Ne abbiamo bisogno». Ma se investire qui è una grande opportunità, come mai non c’è la fila?
«È verissimo che qui investire in viaggi e turismo promette dei ritorni significativi. E una ragione sono le tante bellezze naturali del Rwanda, che è chiamato la terra delle mille colline, ci sono i gorilla di montagna. Come ha detto il mio chairman, l’Africa offre così tanto dal punto di vista culturale, storico, gastronomico. E per i tanti di noi che arrivano da continenti che sono molto affollati, con alta densità di popolazione, è impressionante vedere qui spazi tanto ampi. È proprio vero che qui sono pronti ad accogliere la gente. Per tanto tempo in Africa viaggi e turismo sono stati il Kenya, il Sudafrica e ovviamente la fascia del nord, dove Egitto e Marocco sono i più importanti. Ma ci sono parti dell’Africa che rimangono un po’ sconosciute. Va detto che il Rwanda ha sofferto un terribile genocidio 30 anni fa. Quindi, per loro il turismo rappresenta un’opportunità relativamente nuova. E sappiamo che questo è un posto incredibile. È pulito, sicuro, efficiente, digitale. Dove la gente è molto unita. Ed è anche molto “pro-women”. Ma nessuno lo sa. Ecco la ragione che spiega quella contraddizione sugli investimenti. Per questo abbiamo tenuto qui il nostro Global Summit. Per puntare un riflettore sul Paese. Forse la gente si chiede dove si trovi geograficamente o se, avendo avuto un terribile genocidio, è sicuro. Noi tentiamo di raccontarlo un po’. Ha bisogno di investimenti perché è nuovo e offre tante opportunità, in confronto a tanti altri mercati che sono molto saturi».

Questo spiega la scelta del nuovo chairman, che andrà a sostituire Arnold Donald. È un esperto di investimenti turistici e potrebbe essere la persona adatta a questo scopo?
«Esattamente. Greg O’Hara, tra i fondatori di Certares, è uno dei leader mondiali nel campo degli investimenti in viaggi e turismo»

Pensa che questa crescita dei mercati emergenti possa, in futuro, penalizzare i mercati più maturi, come quelli europei?
«Lo chiedono sempre quando cresce un nuovo mercato: “Questo significa che altri mercati non stanno funzionando”?. Ma la verità è che c’è talmente tanta richiesta per viaggi e turismo che le opportunità davvero non mancano. Se il nostro settore cresce del 5% all’anno e l’economia globale solo del 2% questo vuol dire che c’è una grossa crescita. Il mercato indiano sta crescendo enormemente, quello dell’Asia-Pacifico cresce velocemente, e anche l’Africa sta andando molto veloce. Quindi, penso che ci siano possibilità per tutti. Certo, è un settore molto competitivo. E ci sono dei mercati che rimarranno indietro. Sarà una bella competizione, alla fine».

La sostenibilità sembra essere uno dei principali argomenti di questo summit, ancora più del precedente. Lo scorso dicembre, lei al Parlamento europeo ha fatto campagna per ottenere collaborazione con il settore privato nell’incremento dell’uso di Saf, il carburante sostenibile per l’aviazione. Ha funzionato? Cosa sta succedendo in Europa?
«L’Ue ha appena approvato una normativa che regolamenta e incoraggia la produzione di Saf. E ci sono degli obiettivi di incremento della produzione anno per anno. Quindi si può davvero viaggiare in modo più sostenibile. Il settore viaggi e turismo è responsabile dell’8,1% delle emissioni di gas serra. Lo sappiamo perché adesso noi li misuriamo ogni anno. Potremo confrontare i dati annuali e abbiamo le cifre che vanno indietro fino al 2010. Quindi la cosa davvero importante è che la nostra crescita non vada di pari passo con la crescita del carbone. Dobbiamo elettrificare globalmente il trasporto terrestre, perché rappresenta per noi il 40% del nostro contributo alle emissioni che è dell’8,1%. Pensiamo sempre all’aviazione internazionale ma in realtà la Germania ha fatto un gran lavoro: ha elettrificato tutto, cosa non sempre facile, dato che serve ci siano determinate condizioni. Comunque, nei Paesi in cui è possibile farlo, l’elettrificazione sarà assolutamente la cosa più importante. La seconda cosa: l’aviazione è il settore tra i più difficile dove ridurre le emissioni; fino a poco tempo fa non c’erano alternative disponibili al carburante per gli aerei. Ma adesso c’è e si chiama Saf, sustainable aviation fuel. Penso che ci sia più ricerca in direzione dell’elettrificazione degli aerei. Probabilmente si otterrà qualche tipo di ibrido a un certo punto, ma se si parla di lungo raggio, noi guardiamo ancora di Saf. È un problema globale per il quale dobbiamo sostenere un settore che fa fatica a risolverlo da solo. Negli Usa l’Inflaction Reduction Act ha dato una spinta alla produzione di Saf: è davvero un fatto positivo e anche le norme che stanno per essere approvate in Europa sono positive. Allo scorso summit in Arabia Saudita, il capo degli investimenti del Regno Unito mi raccontò che avevano appena investito 1 miliardo di dollari in un impianto di Saf. Non si tratta solo di fare la cosa giusta, ma è una vera opportunità di investimento che non stiamo ancora cogliendo appieno. Stiamo facendo lo 0,05%. Quando il re d’Inghilterra è andato in Kenya, il 40% del carburante del suo aereo era Saf. È importante che lui dica queste cose non perché è il re d’Inghilterra, ma perché viene ascoltato e le altre persone pensano che sia realmente importante andare in questa direzione. Quindi quella del Saf è una questione importantissima».

Pensa che questa transizione energetica nel settore dell’aviazione aumenterà i costi del trasporto per i passeggeri, e che questo possa inficiare l’attuale crescita del turismo?
«Questo è un aspetto davvero importante. Ho un’esperienza nell’aviazione e nessuno meglio di me può capire quanto siano risicati i margini in questo settore. È un business davvero difficile da far funzionare. E la ragione è che c’è un costo di base molto alto già con l’acquisto degli aerei, che sono molto cari. Poi c’è anche il costo del personale e potete capire che servono i migliori piloti, i migliori ingegneri, i migliori di tutto. La sicurezza è fondamentale e costa molto. Anche atterrare negli aeroporti spesso costa moltissimo. Ma in cima a tutte queste voci c’è il carburante. Ecco perché le compagnie stanno lavorando con margini davvero molto stretti. Ma penso che più Saf riusciremo a produrre, più il prezzo scenderà. Inoltre, abbiamo anche avuto l’inflazione che ha colpito tutto il mondo di viaggi e turismo. È stata particolarmente pesante perché i clienti non vogliono pagare di più ma le compagnie hanno costi maggiori. Niente è diminuito e il carburante è arrivato a prezzi record. Per riportare in basso i costi, abbiamo bisogno di produrre di più. In questi giorni, ho parlato con il ceo di RwandAir, Yvonne Makolo, che è anche membro del direttivo Iata: mi ha detto che vorrebbe usare il Saf, ma la sua è una piccola compagnia, con soli 15 aerei, e in questo momento per lei è davvero troppo caro. E non potrebbe trasferire il costo sui passeggeri».

E comunque il futuro dell’aviazione è il Saf, non l’idrogeno?
«Si continua a guardare all’idrogeno, certo. Ma serve una soluzione disponibile adesso, in un contesto regolamentato e tecnologicamente affidabile. L’idrogeno è qualcosa del futuro. Un giorno potrebbe esserci e potrebbe anche non esserci».

Come potranno essere le relazioni tra Africa ed Europa? L’Africa potrebbe attrarre turisti europei e sappiamo quali sono i Paesi di provenienza?
«Penso che sia molto importante che l’Africa emerga anche come destinazione perché ci sono delle parti del Paese che non sono valorizzate turisticamente. E davvero il marketing dovrebbe riuscire a raccontarla per bene, anche perché questo suscita un orgoglio tra le persone di un Paese. Gli egiziani sono molto orgogliosi delle loro Piramidi. Il Rwanda è molto orgoglioso dei suoi gorilla. Ed è giusto che lo sia. Quindi penso che il marketing sia un aspetto molto importante per fare quello che serve per far funzionare il settore privato in stretta collaborazione con il pubblico. Serve questa sinergia. Se parliamo di mercati d’origine, sappiamo che i mercati più importanti di cui abbiamo parlato, riguardo l’Africa, attualmente sono Egitto e Marocco. E tradizionalmente sono stati Europa e Stati Uniti».

C’è qualche Paese preponderante in termini di flussi di provenienza dall’Europa?
«Non sono in grado di fare una classifica qui su due piedi. Ma sicuramente la Germania e il Regno Unito sono molto importanti».

Lei ha parlato di inflazione. Abbiamo avuto la pandemia, abbiamo avuto (anzi abbiamo) la guerra in Ucraina. Adesso abbiamo il conflitto in Medio Oriente. Come pensa che tutto questo condizionerà viaggi e turismo?
«Dobbiamo dire prima di tutto che la guerra è davvero uno strazio per i nostri cuori e dobbiamo sempre ricordare che stiamo parlando di individui che soffrono. Ma, come settore viaggi e turismo, siamo un soft power che promuove la pace. Si tratta di fare incontrare le persone. Si tratta di costruire ponti. Economicamente – e non voglio minimizzare le terribili tragedie umane a cui stiamo vedendo – viaggi e turismo hanno sempre dovuto affrontare delle crisi. Di recente abbiamo assistito al dramma di Acapulco travolta dall’uragano; prima i terremoti in Turchia e Marocco. Ma nonostante tutto, le cose continuano a muoversi. E con i conflitti che si stanno svolgendo in questo momento non vediamo una riduzione dei viaggi. Non mi riferisco, naturalmente, ad aree specifiche. In generale non c’è una contrazione».

Ha detto che il primo obiettivo è la sostenibilità. Sostenibilità sociale, non solo ambientale. Lei sa che alcune destinazioni, come certe città in Italia, soffrono di quello che viene chiamato overtourism. Qui in Rwanda stanno pianificando una promozione turistica e dovranno immaginare cosa potrà succedere con uno sviluppo turistico nei prossimi 20 anni…
«Il problema del sovraffollamento penso che sia significativo perché ci sono alcune cose nel mondo che tutti vogliono andare a vedere. Il Colosseo, per esempio. Si possono fare però degli interventi efficaci. Come quello di Barcellona. Tutti vogliono andare a vedere la Sagrada Familia, di Gaudì. Ma Gaudì ha fatto diverse opere, non solo una. E lì non ci andava mai nessuno. Quello che hanno fatto è stato di dire che per visitare la Sagrada Familia bisogna prenotare delle fasce orarie. E hanno incoraggiato a fare i biglietti multipli in modo da non vedere solo la Sagrada Familia ma anche altri bellissimi monumenti. E questo in realtà aiuta a distribuire il valore e gestire tutto in stretta collaborazione con le autorità. Bisogna cercare di distribuire i flussi turistici nel territorio. La Croazia ha fatto un buon lavoro a Dubrovnik, con le crociere. E bisogna ascoltare le comunità locali che hanno bisogno di capire e sentire che il turismo è un beneficio per loro, non un problema. Quindi, bisogna fare tutto con il rispetto per loro. Penso che così si raggiungano i risultati».

L'Autore

Giampiero Moncada
Giampiero Moncada

Guarda altri articoli